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2015-08-24 05:42:20 UTC
La tradizione cattolica chiama il giorno della morte "dies natalis", giorno della vera nascita: come se proprio in quel giorno diventassimo davvero bambini, ciò che siamo sempre stati nella mente di Dio fin dall'eternità. Valga questo indizio: alla morte noi chiudiamo serenamente sul mondo quegli occhi che all'evento della nascita biologica si erano sciolti in un pianto! Per questo bisogna volerle bene, alla morte: perché come diceva quello, lei ci sorride per prima.
Sempre la nostra tradizione, stavolta nell'ambito liturgico, al principio di quell'atto sacrificale che è la Messa, faceva dire col salmo al celebrante, magari ottantenne: "vado all'altare del Dio della mia giovinezza". Il sacrificio e la morte, eternando, sono l'unico plausibile elisir della giovinezza, come già insegnava l'antica morale eroica. Chi invece è attaccato alla vita visibile, è sempre vecchio, e il più penoso dei vecchi: quello goffamente indaffarato a trattenere ciò che non può trattenere neanche se tutta l'umanità dimenticasse se stessa alleandosi con lui a quel solo scopo.