___________________________________ Forse qualcuno non avrà dimenticato (e chi non era nato ne avrà sentito parlare) lo speciale trattamento che l'Unione sovietica, negli anni della guerra fredda, era solita usare nei confronti dei dissidenti politici, e con tanta maggiore ragione quanto più trattavasi di intellettuali – non li si condannava penalmente per aver commesso un certo tipo di reato, bensì li si inviava a certi campi di lavoro rieducativo per malati di mente nelle lande siberiane, affinché potessero rileggersi con calma le pagine ufficiali dei sacri testi del comunismo approvato e vidimato dal regime (sicché, se poi fossero guariti, non si sa mai, dalla follia che li affliggeva, non era escluso che potessero "ravvedersi" e tornare).
Con la stessa logica, dopo finita la guerra del Vietnam, anche là era tutta una ri–educazione a chi si fosse intestardito a non capire quanto affettuosamente le Autorità del regime avevano a cuore il destino della popolazione. Ma anche nella Germania nazional–socialista, il diritto penale era molto più attento a mettere a fuoco la personalità del reo (il cosiddetto delinquente–tipo) piuttosto che il singolo fatto-reato, il quale ultimo valeva meglio in funzione di sintomo di una personalità pericolosa piuttosto che come fatto storico penalmente rilevante. (Ovvio che, nella società democratica, è sacrosanta garanzia sedere sul banco degli imputati con l'accusa d'aver commesso un fatto–reato, anziché con l'accusa di avere una certa personalità, la cui pericolosità sociale fosse soltanto rivelata dal fatto commesso).
Mi son permesso di fare questi esempi, più o meno lontani nello spazio e nel tempo, per rendere tangibile il collegamento che mi sembra, dimmi se sbaglio gatta nera, sia al centro della TUA domanda – e cioè non tanto se esista o non esista la cosiddetta malattia mentale, il disturbo della personalità, nevrosi, psicosi e compagnia bella (non vorremmo mai togliere il lavoro agli specialisti!!), quanto, molto più sottilmente, l'uso che, nel sottosuolo inconscio della comunità e dell'intera cultura occidentale, si presta a esser fatto delle categorie stesse di malattia mentale, ecc,,
L' uso, ovviamente, e non l'abuso scopertamente politico degli esempi storici di cui sopra (i quali se lo potevano permettere, all'interno di regimi che si richiamavano esplicitamente a una dottrina o a un certo tipo di "stato etico"). Ma, anche qui, bisogna esser chiari sul fatto che NESSUNO, nell'odierno occidente democratico, voglia usare consapevolmente l'arma della malattia mentale per uniformizzare il pensiero, cloroformizzare il dissenso, o squalificare l'avversario. Si tratta, semplicemente, di spostare l'attenzione sulla POTENZA che la plausibilità di una diagnosi scientifica è in grado di esercitare nella direzione dell'emarginazione di quel pensiero e di chi lo professa o esibisce (il malato, il mentalmente disturbato è peggio etichettato del delinquente – proprio perché, malato d'una malattia d'incerta cittadinanza, vittima lui per primo della sua malattia, è d'altrettanto incerta guarigione).
Il pensiero critico – sulla discendenza del concetto stesso di malattia mentale dal primo positivismo, con l'apertura delle prime cliniche psichiatriche – s'è già espresso in lungo e in largo (v. la famosa "Storia della follia nell'età classica" di Michel Foucault). E altrettanto s'è svolta la messa sotto inchiesta della psichiatria "classica" da parte dell'anti-psichiatria, di cui merita tra l'altro l'attenzione il giovanile e geniale libro "L'io diviso" di Ronald Laing. Costoro, e quelli con loro, evidentemente, altrettanto e prima di Watzlavick, non hanno mai certamente voluto negare il problema individuale dei singoli sofferenti, ma lo hanno diversamente spiegato, anche mettendo in discussione la "catalogazione" dell'essere umano coi riflessi sociali che comporta.
Perché qui sta il punto che, spesso, non si vuol vedere. Non è "colpa" della scienza medica in generale, o di quella psichiatrica in particolare, se "esistono" le malattie e i malati mentali. La scienza fa il suo dovere, e non spetta, almeno direttamente, alla scienza mettere in questione sé stessa sulla base delle conseguenze sociali che la sua diagnosi comporta (anzi, è merito proprio di molti psichiatri sul campo, la liberazione almeno fisica di molti sofferenti). Bisogna, ritengo (ma non lo dico solo io, ovviamente) non dimenticare che la scienza occidentale, il suo metodo, il suo "sistema", lo stesso procedere per concetti, categorie, e catalogazioni, sono la legittima discendenza di quell'antica matrice platonico-aristotelica che, nel bene e nel male, ha segnato l'intero sviluppo dell'Occidente.
E quindi , gatta nera, non mi pare per niente inopportuna la tua intuizione sull' oggettiva strumentalizzabilità sociale delle risorse scientifiche e dei risultati scientifici, da parte delle diverse "dittature" nelle quali s'incarna di volta in volta la commùnis opinio – che è nemica!!, a volte dello stesso "progresso" scientifico. Non vedo alcuna discendenza delle tue diffidenze da pre–impostazioni metafisico-trascendentali-abramitiche – le quali, invece, possono annidarsi nell'inconscio di chi vede, acriticamente, nella stessa scienza, il "padre" protettivo e sempre solerte________________________
_____________________________
Beh, ma allora (ho letto la continuazione di quell' "antipatica" di Micia gialla!! [scherzo, eh!])!! E allora mica siamo tanto lontani!! Forse qui l'ho appena accennato, ma la mia opinione, al di là della tematica specifica, è precisamente e radicalmente quella di rinvenire in quell'antica matrice della metafisica platonico–socratica –aristotelica le strutture fondamentali del nostro stesso pensiero e linguaggio. Tanto che, come da taluni s'è detto dagli anni settanta del novecento, più che parlare e pensare, siamo parlati e siamo pensati dalla stessa civiltà culturale dalla quale veniam fuori (e me compreso, naturalmente!!).
Anche per questo per me hai fatto bene, gatta nera, a metter qua la domanda e non sotto la sez psicologia. Certo, il discorso s'è sviluppato anche sulla realtà della malattia mentale col conseguente dibattito sulla validità scientifica di una diagnosi in termini di patologia. Ma la messa in discussione critica dello status del malato mentale, e dell'astratta usabilità in senso lato ideologica della stessa categoria della malattia mentale – questo rimane, ritengo, un problema "meta"–scientifico, giustamente posto in QUESTA sez nella misura in cui l'hai interpretato all'inizio (nei termini di una versione in chiave moderna "dell'etica della salvezza dell'anima con cui la religione ha sempre tenuto gli uomini sotto tutela", queste le TUE parole).
Io, personalmente, la vedo ancora più radicalmente a monte, nel senso che la stessa re–ligio è già una forma istituzionalizzata del potere e del controllo dell'uomo sull'uomo, una versione già antropologicamente sviluppata, diciamo così, delle forme con cui gli uomini (e le donne) sono tenuti sotto tutela, come dici tu. Ma, questo, è un altro discorso_____________________
O_____O
___________________________ A istinto è una sequenza di pre–studio–del–soggetto–gatta nera (compresa la raccolta–dati personali da domande&risposte), dichiarata appartenenza alla stessa matrice ideale (leggi ateismo) per pre–disporre l'animo al potenziale benessere dell'appartenenza allo stesso gruppo solidale, getto dell'esca anche con simulata provocatorietà verbale ai limiti dell'aggressività, superamento dell'esame, esplicito reclutamento – in perfetto stile re–ligioso_____________________
Ché se poi è un reclutamento lavorativo a tutti gli effetti, càspita, buon lavoro, gatta nera____________________
(però non venitemi a rompere il c@zzo con la new Age scientifica versione nuovo millennio, qui non si@mo tutti degli idioti_____________________