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2012-06-15 00:32:45 UTC
http://www.repubblica.it/speciali/repubblica-delle-idee/edizione2012/2012/06/12/news/il_futuro_dell_uomo_non_solo_nella_scienza-37033809/
http://www.repubblica.it/speciali/repubblica-delle-idee/edizione2012/2012/06/11/news/vi_racconto_l_uomo_che_verr_pi_buono_grazie_alla_nanoscienza-36971656/
Intanto propongo una risposta (già pubblicata sul blog culturale Quinto Stato):
Il futuro dell’uomo è la scienza. Il futuro dell’uomo è segnato. Anche tentando di epurare il mio intervento da patetismo e misoneismo, i quali del resto, considerati di per se stessi, non possono che essere sterili, è importante che io non mi tiri indietro e, risolutamente, provi ad esprimere il mio pensiero. Pensiero feroce, libero, quindi non indegno della natura umana. L’ottimismo scientista parla di uomini migliorati, di uomini buoni, di uomini felici, di uomini privati della possibilità di soffrire: parla dunque di uomini che non sono più uomini, se ne renda conto o no. Lo scenario sarebbe tipicamente distopico: questa non è, però, fantascienza; la scienza parla del reale destino degli uomini. Nondimeno, intervenendo così direttamente sul destino reale degli uomini, li rende uomini standardizzati, innaturalmente scevri di imperfezioni, liberi dal peso di ogni libertà: non-uomini. Cos’è la gioia senza il dolore? Cosa la felicità? Cosa una decisione senza la possibilità di scelta? Chi è il prudente senza l’improvvido? Dove saranno i savi senza i folli? Dove i giusti? Insomma, dove saranno gli uomini? Diremmo che l’imperfetto inerisce alla vita umana come contrappunto parimenti essenziale alla pienezza e alla completezza dell’esistere. Bisogna aprire gli occhi: se gli uomini diventano, nel senso sopra precisato, non-uomini non c’è più posto per niente che abbia il titolo di umano: si scopre dunque che quegli attributi che credevamo esser propri degli uomini di questo perfetto e candidamente infausto futuro, possono a loro addirsi solo apparentemente. Perché l’orizzonte in cui si muoveranno sarà sostanzialmente in-umano. Non c’è più felicità, non c’è più miglioramento, non c’è più giustizia: non ci sarà più nulla di ciò che si è venerato, di ciò che si è creduto nostro in quanto umano.
Del resto, l’in-umano non può confarsi all’uomo. Terenzio, nel suo Heautontimorumenos, giammai avrebbe potuto dire: “Homo sum, in-humani nihil a me alienum puto” Noi cosa vogliamo dire? Con il proposito di migliorarci, migliorarci nei modi che propina la scienza, siamo pronti a farlo fino al punto in cui ci perderemo, perderemo noi in quanto uomini? Forse non ho da proporre antidoti, che sarebbero plausibilmente chimerici: ciononostante lo spirito che anima ciò che scrivo non è donchisciottesco tout court. Potrà valere da pungolo per riflessioni più stringenti e acute della mia, tenendo sempre presente ciò che Theodor W. Adorno mi e ci ricorda nelle Dissonanze: “Non sarà tuttavia vana quella riflessione che nasce quando il pensiero si pone senza riguardi e senza timore di fronte a tutto ciò che lo sgomenta”.
Luca Fiorani
Voi cosa ne pensate? Quali sono le vostre prospettive in merito?