Una ragazza occidentale, che ha voluto mettere a rischio la propria vita in Africa, a sostegno di bisognosi, e ci è riuscita: vittima troppo facile di interessi delinquenziali ben noti.
Solo lei sa che cosa può aver provato in diciotto mesi di agonia, nella tenue speranza di essere liberata, probabilmente conscia, fin dall'inizio, di essere un bancomat vivo (e quindi "sicura") per chi l'aveva rapita.
E così è stato; chi ha "tramato" per liberarla, da una parte, e chi ha "giocato" con la sua esistenza per arraffare più soldi possibile, dall'altra.
Convertita? Una fatalità scontata. Per la Chiesa cattolica è ancora una Figlia; per l'Islam è corpo estraneo e pericoloso.
Avrebbero dovuto farla rientrare tra i suoi nella massima discrezione e ne hanno fatto uno spettacolo indegno.
Che cosa ha ora davanti a sé? E' possibile che già la tentino, per farle scrivere un racconto, prestissimo, prima che la vicenda si raffreddi. E farci soldi.
Di certo, avrà molto bisogno di esperti che la aiutino a metabolizzare quanto ha vissuto, con una nuova tenue speranza di riuscire a trovare collocazione degna in una attività produttiva. A Milano Aisha Bint Muhammad (se le Autorità le lasceranno la possibilità di formalizzare la nuova identità) non avrà vita facile, come avrebbe potuto averla Silvia Romano.