New One
2009-10-23 02:35:44 UTC
Eppure è esistito - esiste - un popolo che durante la sua storia a quanto pare non ha sviluppato la credenza in una vita dopo la morte.
Si tratta degli ilongot, del Luzun settentrionale (Filippine). Vediamo ora come erano usi reagire alla devastante perdita di una persona cara:
"Se si domanda ad un anziano uomo ilongot del Luzon settentrionale (Filippine) perché taglia teste umane, la sua risposta sarà breve e senza dubbio nessun antropologo riuscirà con facilità a interpretarla in forma più esplicita. Egli dirà che la rabbia, nata dal dolore, lo spinge a uccidere gli esseri umani suoi simili. Infatti - affermerà - ha bisogno di un luogo "su cui rivolgere la sua rabbia": perciò l'atto di troncare la testa della vittima e lanciarla in aria gli consente di sfogarsi e - così almeno spera - liberarsi dalla rabbia del suo stato di lutto e privazione. Sebbene il compito dell' antropologo sia di rendere intelligibili le culture altre, in questo caso porre ulteriori domande non lo aiuterà a portare alla luce alcuna spiegazione più chiara di questa concisa affermazione dell'uomo. Per lui dolore, rabbia e taglio delle teste sono connessi in modo ovviò, che voi lo capiate o no. E in effetti, per moltissimo tempo, io non riuscivo a capirIo.
(...)
Poco dopo la dichiarazione della legge marziale da parte di Ferdinand Marcos, nel 1972, giunse voce sull'altopiano ilongot che la nuova punizione per la pratica di caccia alle teste sarebbe stata il plotone d'esecuzione; gli uomini perciò decisero di proclamare una moratoria del taglio di teste. (...) Cominciarono così a vedere nella conversione al cristianesimo evangelico un mezzo per far cessare il loro dolore: accettare la nuova religione significava abbandonare gli antichi costumi compresa la caccia alle teste. Ma voleva anche dire farla finita con il sentimento di privazione, o se non altro renderlo meno doloroso: avrebbero creduto infatti che la persona deceduta era partita per recarsi in un mondo migliore, e non avrebbero più dovuto affrontare la morte col suo terribile carico di definitività."
Fonte: R. Rosaldo, "Il dolore e la rabbia di un cacciatore di teste" in Cultura e Verità, Meltemi, 2001, pp.37-63 (nello specifico ho citato brani delle pp. 37, 40, 41).
Questo testo faceva parte delle dispense di antropologia che ho studiato due anni fa per un esame; l'ho scannerizzato e messo on line, lo trovate all'indirizzo che posterò subito sotto con il mio altro account (se no yahoo non mi pubblica la domanda)
Commenti? Allora, può servire a qualcosa credere in una vita dopo la morte?