Galileo Galilei scrisse una lettera a Benedetto Castelli, un frate Benedettino che fu suo allievo presentando una serie di riflessioni circa la possibilità di usare le Sacre Scritture in questioni che riguardano la scienza sostenendo che la Bibbia contiene la verità assoluta e non può mentire.
Galilei sottolinea l’importanza di una giusta interpretazione del testo affermando che è un grave errore prendere il puro significato delle parole contenute nella Bibbia o dare a Dio connotati umani.
Afferma che la Bibbia è scritta in modo popolare in maniera simbolica finalizzata alla salvezza dell’anima dell’uomo e la natura esegue gli ordini di Dio e non si cura di essere comprensibile.
Entrambe derivano da Dio, per questo motivo non possono contraddirsi ed è impensabile che Dio ci abbia dotato di ragione e sensi per poi indurci a non utilizzarli.
Nell'ultima parte sottolinea che se la chiesa avesse continuato ad ostacolare lo sviluppo scientifico, avrebbe perso credibilità rimanendo legata a conoscenze che sarebbero risultate false.
La verità è l'arme inevitabile e tremenda che non teme avversario, ne alcun confronto dato che scienza e scritture non si contraddicono.