In altre parole ciò che esiste continua ad esistere anche se nessuno ne ha più coscienza?
Detto ancora diversamente è la coscienza della loro esistenza a rendere esistenti le cose?
La domanda è intrigante perché il modo di esistere delle cose dipende senza dubbio dall' osservatore.
L' universo che vediamo noi dipende dalla nostra sensibilità ad una certa parte dello spettro elettromagnetico, dal rosso al violetto.
Occhi sensibili alle onde radio o ai raggi x vedrebbero cose assolutamente diverse.
In effetti la visione della realtà è influenzata da una quantità di caratteristiche dell' osservatore per cui ciò che ognuno percepisce non è che un aspetto della molteplicità del reale.
Questa constatazione risulta facilmente comprensibile ed accettabile.
Ma ciò che chiede la domanda si spinge ben oltre.
Occorre riflettere sul significato attribuito al termine esistere.
In prima istanza la differenza tra quanto esiste e quanto non esiste sembrerebbe basarsi esclusivamente sulla percezione dell' osservatore. Classico il "io credo solo in ciò che vedo" e tutte le polemiche sull' esistenza del non percepibile.
Posso sostenere che i raggi UV non esistono perché non li vedo. La loro esistenza diventa però innegabile quando, in virtù di uno strumento tecnologico, io venga messo in condizione di percepirli oppure, sulla base di una speculazione inequivocabile, la loro esistenza venga desunta dalle conseguenze sulla realtà percepibile.
Questo porterebbe a pensare che realtà impercepibili anche per i loro effetti possano essere definite non esistenti senza timore di smentita.
Tutto ciò mi ricorda la questione dell' etere, la cui esistenza fu desunta inizialmente dalla necessità di un mezzo che giustificasse la propagazione delle oscillazioni elettromagnetiche e successivamente smentita dalla mancanza di altri riscontri.
Definito così l' inesistente (non percepibile e privo di effetti sul percepibile) mi sembra che l' esistente non possa prescindere dalla sua percepibilità o dai suoi effetti sul percepibile.
Detto questo però salta immediatamente agli occhi come il riconoscimento dell' esistente dipenda strettamente dalla presenza dell' osservatore e in altre parole come, l' assenza di osservatori, che è l' ipotesi della domanda, renda impossibile discriminare l' esistente dal non esistente e quindi mettere in dubbio l' esistenza dello stesso universo.
La faccenda sembra quadrare anche adottando un altro punto di vista.
Prima della mia esistenza nulla esisteva (per me) e solo il mio esistere ha consentito il dipanarsi della realtà che ora i miei occhi riconoscono. Potrei quindi concludere che è solo la mia esistenza, assieme a quella di tutti gli altri, a rendere riconoscibile l' esistente.
In conclusione mi sembra di poter dire che la mancanza di osservatori renderebbe indecidibile l' esistenza dell' universo (anche se non credo che questo sia sufficiente a definirlo inesistente), la cui realtà diventerebbe comunque irrilevante e priva di significato.
Bella domanda. Mi ha fatto riflettere su aspetti inconsueti del rapporto tra coscienza e realtà come non mi era mai capitato di fare.