Se credere fosse davvero una scelta, allora Pascal avrebbe ragione - sebbene, nel suo modo tipicamente ironico non manchi di far notare anche l'opportunismo della scelta: scelgo dio perchè, a conti fatti, mi conviene.
Immagino che questo sia un po' quello che fanno molti. La mia nonna, che è sempre stata una non credente, anche se non si è mai definita atea - negli ultimi mesi di vita ha risfoderato le preghiere che le avevano insegnato da bambina. Non la biasimo affatto (mia nonna era un tesoro), ma so che è stata la paura, in ultima analisi, a farle fare una scelta. Scelta che, mi permetto di aggiungere, suona comunque falsa, perchè se fatta scientemente per ottenere "qualcosa" o per paura che si finisca all'inferno, non è di certo dettata da una fede convinta.
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Sebbene sia vero che sei stato generalmente frainteso qui (ma non universalmente!), è vero anche che ti sei dimenticato della mia premessa. Dici che credi nell'esistenza di dio perchè vedi/senti/percepisci la sua presenza in ciò che ha creato: capisco benissimo e nel TUO caso la fede non è una scelta, bensì qualcosa che esiste in te a prescindere da qualsiasi tornaconto.
Ma come tu non hai "deciso" di credere così io non ho deciso di non credere. Quella stessa percezione che hai tu della natura delle cose, ce l'ho anch'io, e mi porta a conclusioni diverse.
Ciò che invece suggerisce Pascal è che la scelta si attui a posteriori, dopo aver valutato i pro e i contro di una posizione. Ma ciò non è possibile se si parte dal presupposto che credere non è una scelta (presupposto che in ultima analisi anche tu, con la tua fede, confermi!).
@ ben 48: Pascal è stato prima un matematico/fisico, poi un teologo e filosofo. Posso avere il massimo rispetto per entrambe le sue professioni senza per questo nè osannarlo (non ho l'abitudine di osannare nessuno) nè denigrarlo. Noto però con un certo personale compiacimento che nemmeno tu, da credente, abbia voluto dare un contributo utile alla discussione. Forse è il caso di ridiscutere il concetto di "apertura mentale".