Domanda:
Domanda per esperti delle lettere di san paolo ai corinzi!?
Gong
2007-11-21 08:52:36 UTC
MI fate il riassunto e il commento della prima lettera di san paolo ai corinzi dal capitolo 9 al 16 (non mi ricordo se si chiamano capitolo o versetti)
Sei risposte:
anonymous
2007-11-21 09:19:08 UTC
Prediche di Quaresima alla Casa Pontificia



Prediche di Avvento



2007-04-06 - C’erano anche alcune donne



2007-03-30 - Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia



2007-03-23 - Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati



2007-03-16 - Beati i miti perché possiederanno la terra



2007-03-09 - Beati puri di cuore perché vedranno Dio



2006-04-14 - Dio dimostra il suo amore per noi



2006-04-07 - “Le rocce si spezzarono” (Mt 27, 51)



2006-03-31 - “Imparò l’obbedienza dalle cose che patì”



2006-03-17 - “In preda all’angoscia, pregava più intensamente” (Lc 22,44)



2005-03-25 - Salve, vero corpo nato da Maria vergine



2005-03-04 - L’Eucaristia: presenza dell’incarnazione e memoriale della Pasqua



2005-02-25 - Eucaristia e risurrezione di Cristo



2004-04-09 - Vincitore perché vittima



2004-04-09 - Passare a ciò che non passa-La Pasqua eterna



2004-04-02 - La morale dice cosa fare-La Pasqua nella vita



2004-03-26 - L'Allegoria Dice Cosa Credere-La Pasqua della fede



2004-02-12 - La lettera racconta l'accaduto-La Pasqua della storia



2003-04-18 - Egli è la nostra pace



2003-03-20 - Figlio, ecco tua madre!



2003-03-16 - Cristo ha amato la Chiesa



2003-03-10 - Un solo corpo, un solo spirito



2003-03-05 - La Chiesa, una costruzione ben ordinata (Ef. 2, 21)



2002-03-29 - Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me



2001-04-13 - Ora il principe di questo mondo è gettato fuori



2000-03-25 - Tutto è compiuto



1999-02-04 - Per redimere il servo hai dato il Figlio



“Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala” (Gv 19, 25). Per una volta lasciamo da parte Maria, sua Madre. La sua presenza sul Calvario non ha bisogno di spiegazioni. Era “sua madre” e questo spiega tutto; le madri non abbandonano un figlio, neppure condannato a morte. Ma perché erano lì le altre donne? Chi erano e quante erano?



I vangeli riferiscono il nome di alcune di esse: Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses, Salome, madre dei figli di Zebedeo, una certa Giovanna e una certa Susanna (Lc 8, 3). Venute con Gesú dalla Galilea, queste donne lo avevano seguito, piangendo, nel viaggio al Calvario (Lc 23, 27-28), ora sul Golgota osservavano “da lontano” (cioè dalla distanza minima loro consentita) e di lì a poco lo accompagnano, mestamente, al sepolcro, con Giuseppe di Arimatea (Lc 23, 55).



Questo fatto è troppo accertato e troppo straordinario per passarvi sopra in fretta. Le chiamiamo, con una certa condiscendenza maschile, “le pie donne”, ma esse sono ben più che “pie donne”, sono altrettante “Madri Coraggio”! Hanno sfidato il pericolo che c’era nel mostrarsi così apertamente in favore di un condannato a morte. Gesú aveva detto: “Beato chi non si sarà scandalizzato di me” (Lc 7, 23). Queste donne sono le uniche che non si sono scandalizzate di lui.



Si discute animatamente da qualche tempo chi fu a volere la morte di Gesú: se i capi ebrei, o Pilato, o gli uni e l’altro. Una cosa è certa in ogni caso: furono degli uomini, non delle donne. Nessuna donna è coinvolta, neppure indirettamente, nella sua condanna. Anche l’unica donna pagana menzionata nei racconti, la moglie di Pilato, si dissociò dalla sua condanna (Mt 27, 19). Certo, Gesú morì anche per i peccati delle donne, ma storicamente esse solo possono dire: “Noi siamo innocenti del sangue di costui!” (Mt 27, 24).



Questo è uno dei segni più certi dell’onestà e dell’attendibilità storica dei vangeli: la figura meschina che fanno in essi gli autori e gli ispiratori dei vangeli e la figura meravigliosa che vi fanno fare a delle donne. Chi avrebbe permesso che fosse conservata, a imperitura memoria, la storia ignominiosa della propria paura, fuga, rinnegamento, aggravata in più dal confronto con la condotta così diversa di alcune povere donne, chi, ripeto, l’avrebbe permesso, se non vi fosse stato costretto dalla fedeltà a una storia che appariva ormai infinitamente più grande della propria miseria?



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Ci si è sempre chiesti come mai le “pie donne” sono le prime a vedere il Risorto e ad esse viene dato l’incarico di annunciarlo agli apostoli. Questo era il modo più sicuro per rendere la risurrezione poco credibile. La testimonianza di una donna non aveva alcun peso. Forse proprio per questo motivo nessuna donna figura nel lungo elenco di coloro che hanno visto il Risorto redatto da Paolo (cf. 1 Cor 15, 5-8). Gli stessi apostoli sulle prime presero le parole delle donne come “un vaneggiamento” tutto femminile e non credettero ad esse (Lc 24, 11).



Gli autori antichi credettero di conoscere la risposta a questa domanda. Le donne, dice in un suo inno Romano il Melode, sono le prime a vedere il Risorto perché una donna, Eva, era stata la prima a peccare! (1) Ma la risposta vera è un’altra: le donne sono state le prime a vederlo risorto perché erano state le ultime ad abbandonarlo da morto e anche dopo la morte venivano a portare aromi al suo sepolcro (Mc 16,1).



Dobbiamo chiederci il perché di questo fatto: perché le donne hanno resistito allo scandalo della croce? Perché gli sono rimaste vicine quando tutto sembrava finito e anche i suoi discepoli più intimi lo avevano abbandonato e stavano organizzando il ritorno a casa?



La risposta l’ha data in anticipo Gesú, quando rispondendo a Simone, disse, della peccatrice che gli aveva lavato e baciato i piedi: “Ha molto amato!” (Lc 7, 47). Le donne avevano seguito Gesú per lui stesso, per gratitudine del bene da lui ricevuto, non per la speranza di far carriera al suo seguito. Ad esse non erano stati promessi “dodici troni”, né esse avevano chiesto di sedere alla sua destra e alla sua sinistra nel suo regno. Lo seguivano, è scritto, “per servirlo” (Lc 8, 3; Mt 27, 55); erano le uniche, dopo Maria la Madre, ad avere assimilato lo spirito del vangelo. Avevano seguito le ragioni del cuore e queste non le avevano ingannate.



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In ciò la loro presenza accanto al Crocifisso e al Risorto contiene un insegnamento vitale per noi oggi. La nostra civiltà, dominata dalla tecnica, ha bisogno di un cuore perché l’uomo possa sopravvivere in essa, senza disumanizzarsi del tutto. Dobbiamo dare più spazio alle “ragioni del cuore”, se vogliamo evitare che l’umanità ripiombi in un’era glaciale.



In questo, a differenza che in molti altri campi, la tecnica ci è ben poco di aiuto. Si sta lavorando da tempo a un tipo di computer che “pensa” e molti sono convinti che vi si arriverà. Ma nessuno finora ha prospettato la possibilità di un computer che “ama”, che si commuove, che viene incontro all’uomo sul piano affettivo, facilitandogli l’amare, come gli facilita il calcolare le distanze tra le stelle, il movimento degli atomi e memorizzare i dati...



Al potenziamento dell’intelligenza e delle possibilità conoscitive dell’uomo, non va di pari passo, purtroppo, il potenziamento della sua capacità d’amore. Quest’ultima, anzi, sembra che non conti nulla, mentre sappiamo benissimo che la felicità o l’infelicità sulla terra non dipende tanto dal conoscere o non conoscere, quanto dall’amare o non amare, dall’essere amato o non essere amato. Non è difficile capire perché siamo così ansiosi di accrescere le nostre conoscenze e così poco di accrescere la nostra capacità di amare: la conoscenza si traduce automaticamente in potere, l’amore in servizio.



Una delle moderne idolatrie è l’idolatria dell’“IQ”, del “quoziente di intelligenza”. Si sono messi a punto numerosi metodi di misurazione. Ma chi si preoccupa di tener conto anche del “quoziente di cuore”? Eppure solo l’amore redime e salva mentre la scienza e la sete di conoscenza, da sole, possono portare alla dannazione. È la conclusione del Faust di Goethe ed è anche il grido lanciato dal regista che fa inchiodare simbolicamente al pavimento i preziosi volumi di una biblioteca e fa dire al protagonista che “tutti i libri del mondo non valgono una carezza” (2). Prima di tutti loro san Paolo aveva scritto: “La scienza gonfia, l’amore edifica” (1 Cor 8,1). "Senza l’amore – ricordava nella Messa crismale di ieri il papa – la persona è buia dentro".



Dopo tante ere che hanno preso il nome dall’uomo – homo erectus, homo faber, fino all’homo sapiens, cioè sapientissimo, di oggi –, c’è da augurarsi che si apra finalmente, per l’umanità, un’era della donna: un’era del cuore, della compassione, e questa terra cessi finalmente di essere “l’aiola che ci fa tanti feroci” (3).



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Da ogni parte emerge l’esigenza di dare più spazio alla donna. Noi non crediamo che “l’eterno femminino ci salverà” (4). L’esperienza quotidiana dimostra che la donna può “sollevarci in alto”, ma può anche farci precipitare in basso. Anch’essa ha bisogno di essere salvata da Cristo. Ma è certo che, una volta redenta da lui e “liberata”, sul piano umano, da antiche discriminazioni, essa può contribuire a salvare la nostra società da alcuni mali inveterati che la minacciano: violenza, volontà di potenza, aridità spirituale, disprezzo della vita…



Bisogna solo evitare di ripetere l’antico errore gnostico secondo cui la donna, per salvarsi, deve cessare di essere donna e trasformarsi in uomo (5). Il pregiudizio è tanto radicato nella cultura che le stesse donne hanno finito a volte per soccombere ad esso. Per affermare la loro dignità, hanno creduto necessario assumere atteggiamenti maschili, oppure minimizzare la differenza dei sessi, riducendola a un prodotto della cultura. “Donna non si nasce, ma si diventa”, ha detto una loro illustre rappresentante (6).



Come dobbiamo essere grati alle “pie donne”! Lungo il viaggio al Calvario, il loro singhiozzare fu l’unico suono amico che giunse agli orecchi del Salvatore; sulla croce, i loro “sguardi” furono gli unici a posarsi con amore e compassione su di lui.



La liturgia bizantina ha onorato le pie donne dedicando ad esse una domenica dell’anno liturgico, la seconda dopo Pasqua, che prende il nome di “domenica delle Mirofore”, cioè delle portatrici di aromi. Gesù è contento che si onorino nella Chiesa le donne che lo hanno amato e hanno creduto in lui quand’era in vita. Su una di esse – la donna che versò sul suo capo un vasetto di olio profumato – fece questa straordinaria profezia, puntualmente avveratasi nei secoli: “Dovunque sarà predicato questo vangelo, nel mondo intero, sarà detto anche ciò che essa ha fatto, in ricordo di lei” (Mt 26,13).



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Le pie donne non sono, però, solo da ammirare e onorare, sono anche da imitare. San Leone Magno dice che “la passione di Cristo si prolunga sino alla fine dei secoli” (7) e Pascal ha scritto che “Cristo sarà in agonia fino alla fine del mondo” (8). La Passione si prolunga nelle membra del corpo di Cristo. Sono eredi delle “pie donne” le tante donne, religiose e laiche, che stanno oggi a fianco dei poveri, dei malati di AIDS, dei carcerati, dei reietti d’ogni specie della società. Ad esse – credenti o non credenti – Cristo ripete: “L’avete fatto a me” (Mt 25, 40).



Non solo per il ruolo svolto nella passione, ma anche per quello svolto nella risurrezione le pie donne sono di esempio alle donne cristiane di oggi. Nella Bibbia si incontrano da un capo all’altro dei “va!” o degli “andate!”, cioè degli invii da parte di Dio. È la parola rivolta ad Abramo, a Mosè (“Va’, Mosè, nella terra d’Egitto”), ai profeti, agli apostoli: “Andate in tutto il mondo, predicate il vangelo ad ogni creatura”.



Sono tutti “andate!” indirizzati a degli uomini. C’è un solo “andate!” indirizzato a delle donne, quello rivolto alle mirofore il mattino di Pasqua: “Allora Gesù disse loro: “Andate ed annunziate ai miei fratelli che vadano in Galilea e là mi vedranno” (Mt 28, 10). Con queste parole le costituiva prime testimoni della risurrezione, “maestre dei maestri” come le chiama un autore antico (9).



È un peccato che, a causa dell’errata identificazione con la donna peccatrice che lava i piedi di Gesú (Lc 7, 37), Maria Maddalena abbia finito per alimentare infinite leggende antiche e moderne e sia entrata nel culto e nell’arte quasi solo nella veste di “penitente”, anziché in quella di prima testimone della risurrezione, “apostola degli apostoli”, come la definisce san Tommaso d’Aquino (10).



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“Abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annunzio ai suoi discepoli” (Mt 28, 8). Donne cristiane, continuate a portare ai successori degli apostoli e a noi sacerdoti loro collaboratori il lieto annuncio: “Il Maestro è vivo! E’ risorto! Vi precede in Galilea, cioè dovunque andiate!” Continuate l’antico cantico che la liturgia pone sulla bocca di Maria Maddalena: Mors et vita duello conflixere mirando: dux vitae mortuus regnat vivus: “Morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello: il Signore della vita era morto, ma ora è vivo e regna”. La vita ha trionfato, in Cristo, sulla morte e così avverrà un giorno anche in noi. Insieme con tutte le donne di buona volontà, voi siete la speranza di un mondo più umano.



Alla prima delle “pie donne” e loro incomparabile modello, la Madre di Gesú, ripetiamo con un’antica preghiera della Chiesa: “Santa Maria, soccorri i miseri, sostieni i pusillanimi, conforta i deboli: prega per il popolo, intervieni per il clero, intercedi per il devoto sesso femminile”: Ora pro populo, interveni pro clero, intercede pro devoto femineo sexu (11).







(1) Romano il Melode, Inni, 45, 6 (ed. a cura di G. Gharib, Edizioni Paoline 1981, p. 406).

(2) Nel film “Cento chiodi” di Ermanno Olmi.

(3) Dante Alighieri, Paradiso, 22, v.151.

(4) W. Goethe, Faust, finale parte II: “Das Ewig-Weibliche zieht uns hinan”.

(5) Cf. Vangelo copto di Tommaso, 114; Estratti di Teodoto, 21, 3.

(6) Simone de Beauvoir, Le Deuxième Sexe (1949).

(7) S. Leone Magno, Sermo 70, 5 (PL 54, 383).

(8) B. Pascal, Pensieri, n. 553 Br.

(9) Gregorio Antiocheno, Omelia sulle donne mirofore, 11 (PG 88, 1864 B).

(10) S. Tommaso d’Aquino, Commento al vangelo di Giovanni, XX, 2519.

(11) Antifona al Magnificat, Comune delle feste della Vergine.





Prediche di Avvento | Prediche di Quaresima



1. La misericordia di Cristo



La beatitudine sulla quale vogliamo riflettere in questa ultima meditazione quaresimale è la quinta nell’ordine di Matteo: “Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia”. Partendo, come sempre, dall’affermazione che le beatitudini sono l’autoritratto di Cristo, anche questa volta ci poniamo subito la domanda: come ha vissuto Gesú la misericordia? Che cosa ci dice la sua vita su questa beatitudine?



Nella Bibbia, la parola misericordia si presenta con due significati fondamentali: il primo indica l’atteggiamento della parte più forte (nell’alleanza, Dio stesso) verso la parte più debole e si esprime di solito nel perdono delle infedeltà e delle colpe; il secondo indica l’atteggiamento verso il bisogno dell’altro e si esprime nelle cosiddette opere di misericordia. (In questo secondo senso il termine ricorre spesso nel libro di Tobia). C’è, per così dire, una misericordia del cuore e una misericordia delle mani.



Nella vita di Gesú risplendono entrambe queste due forme. Egli riflette la misericordia di Dio verso i peccatori, ma si impietosisce anche di tutte le sofferenze e i bisogni umani, interviene per dare da mangiare alle folle, guarire i malati, liberare gli oppressi. Di lui l’evangelista dice: “Ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie” (Mt 8,17).



Nella nostra beatitudine il senso prevalente è certamente il primo, quello del perdono e della remissione dei peccati. Lo deduciamo dalla corrispondenza tra la beatitudine e la sua ricompensa: “Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia”, s’intende presso Dio che rimetterà i loro peccati. La frase: “Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro”, viene spiegata subito con “perdonate e vi sarà perdonato” (Lc 6, 36-37).

È nota l’accoglienza che Gesú riserva ai peccatori nel vangelo e l’opposizione che essa gli procurò da parte dei difensori della legge che lo accusavano di essere “un mangione e beone, amico di pubblicani e peccatori” (Lc 7, 34). Uno dei detti storicamente meglio attestati di Gesú è: “Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori” (Mc 2, 17). Sentendosi da lui accolti e non giudicati, i peccatori lo ascoltavano volentieri.



Ma chi erano i peccatori, chi veniva indicato con questo termine? In linea con la tendenza oggi diffusa di scagionare del tutto i farisei del vangelo, attribuendo l’immagine negativa a forzature posteriori degli evangelisti, qualcuno ha sostenuto che con questo termine si intendono “i trasgressori deliberati e impenitenti della legge” [1], in altre parole i delinquenti comuni e i fuori legge del tempo.



Se fosse così, gli avversari di Gesú avevano effettivamente ragione di scandalizzarsi e di ritenerlo persona irresponsabile e socialmente pericolosa. Sarebbe come se oggi un sacerdote frequentasse abitualmente mafiosi, camorristi e criminali in genere, e accettasse i loro inviti a pranzo, con il pretesto di parlare loro di Dio.



In realtà, le cose non stanno così. I farisei avevano una loro visione della legge e di ciò che è conforme o contrario ad essa e consideravano reprobi tutti quelli che non si conformavano alla loro prassi. Gesú non nega che esista il peccato e che esistano i peccatori, non giustifica le frodi di Zaccheo o l’adulterio della donna. Il fatto di chiamarli “i malati” lo dimostra.



Quello che Gesú condanna è di stabilire da sé qual è la vera giustizia e considerare tutti gli altri “ladri, ingiusti e adulteri”, negando loro perfino la possibilità di cambiare. È significativo il modo in cui Luca introduce la parabola del fariseo e del pubblicano: “Disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri” (Lc 18,9). Gesú era più severo verso coloro che, sprezzanti, condannavano i peccatori, che verso i peccatori stessi [2].



2. Un Dio che si compiace di avere misericordia



Gesú giustifica la sua condotta verso i peccatori dicendo che così agisce il Padre celeste. Ai suoi oppositori egli ricorda la parola di Dio nei profeti: “Voglio la misericordia e non il sacrificio” (Mt 9,13). La misericordia verso l’infedeltà del popolo, la hesed, è il tratto più saliente del Dio dell’alleanza e riempie la Bibbia da un capo all’altro. Un salmo lo ripete a modo di litania, spiegando con essa tutti gli eventi della storia d’Israele: “Perché eterna è la sua misericordia” (Sal 136).



Essere misericordiosi appare così un aspetto essenziale dell’essere “a immagine e somiglianza di Dio”. “Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro” (Lc 6, 36) è una parafrasi del famoso: “Siate santi perché io, il Signore, Dio vostro, sono santo” (Lev 19, 2).



Ma la cosa più sorprendente, circa la misericordia di Dio, è che egli prova gioia nell’aver misericordia. Gesú conclude la parabola della pecorella smarrita dicendo: “Ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione” (Lc 15, 7). La donna che ha ritrovato la dramma smarrita grida alle amiche: “Rallegratevi con me”. Nella parabola del figliol prodigo poi la gioia straripa e diventa festa, banchetto.



Non si tratta di un tema isolato, ma profondamente radicato nella Bibbia. In Ezechiele Dio dice: “Io non godo della morte dell’empio, ma (godo!) che l’empio desista dalla sua condotta e viva” (Ez 33,11). Michea dice che Dio “si compiace di avere misericordia” (Mi 7,18), cioè prova piacere nel farlo.



Ma perché, ci si domanda, una pecora deve contare, sulla bilancia, quanto tutte le rimanenti messe insieme, e a contare di più deve essere proprio quella che è scappata e ha creato più problemi? Una spiegazione convincente l’ho trovata nel poeta Charles Péguy. Smarrendosi, quella pecorella, come pure il figlio minore, ha fatto tremare il cuore di Dio. Dio ha temuto di perderla per sempre, di essere costretto a condannarla e privarsene in eterno. Questa paura ha fatto sbocciare la speranza in Dio e la speranza, una volta realizzatasi, ha provocato la gioia e la festa. “Ogni penitenza dell’uomo è il coronamento di una speranza di Dio” [3]. È un linguaggio figurato, come tutto il nostro parlare di Dio, ma contiene una verità.

In noi uomini, la condizione che rende possibile la speranza è il fatto che non conosciamo il futuro e perciò lo speriamo; in Dio, che conosce il futuro, la condizione è che non vuole (e, in certo senso, non può) realizzare quello che vuole, senza il nostro consenso. La libertà umana spiega l’esistenza della speranza in Dio.



Che dire allora delle novantanove pecorelle giudiziose e del figlio maggiore? Non c’è alcuna gioia in cielo per essi? Vale la pena vivere tutta la vita da buoni cristiani? Ricordiamo cosa risponde il Padre al figlio maggiore: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo” (Lc 15, 31). L’errore del figlio maggiore sta nel considerare l’essere rimasto sempre a casa e aver condiviso tutto con il Padre, non un privilegio immenso, ma un merito; si comporta da mercenario, più che da figlio. (Questo dovrebbe mettere sull’avviso tutti noi che, per stato di vita, ci troviamo nella stessa posizione del figlio maggiore!)



Su questo punto la realtà è stata migliore della stessa parabola. Nella realtà, il figlio maggiore –il Primogenito del Padre, il Verbo – non è rimasto nella casa paterna; è andato lui in “una regione lontana” a cercare il figlio minore, e cioè l’umanità decaduta; è stato lui che lo ha ricondotto a casa, che gli ha procurato la veste nuova e ha imbandito per lui un banchetto al quale può sedersi a ogni Eucaristia.



In un suo romanzo, Dostoevskij descrive un quadretto che ha tutta l’aria di una scena osservata dal vero. Una donna del popolo tiene in braccio il suo bambino di poche settimane, quando questi per la prima volta, a detta di lei, le sorride. Tutta compunta, ella si fa il segno della croce e a chi le chiede il perché di quel gesto risponde: “Ecco, allo stesso modo che una madre è felice quando nota il primo sorriso del suo bimbo, così si rallegra Iddio ogni volta che un peccatore si mette in ginocchio e rivolge a lui una preghiera fatta con tutto il cuore”[4].



3. La nostra misericordia, causa o effetto della misericordia di Dio?



Gesú dice: “Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia” e nel Padre nostro ci fa pregare: “Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori.” Dice anche: “Se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe” (Mt 6, 15). Queste frasi potrebbero indurre a pensare che la misericordia di Dio verso di noi è un effetto della nostra misericordia verso gli altri, ed è proporzionata ad essa.



Se così fosse però sarebbe completamente rovesciato il rapporto tra grazia e buone opere, e si distruggerebbe il carattere di pura gratuità della misericordia divina solennemente proclamato da Dio davanti a Mosè: “Farò grazia a chi vorrò far grazia e avrò misericordia di chi vorrò aver misericordia” (Es 33,19).



La parabola dei due servitori (Mt 18, 23 ss,) è la chiave per interpretare correttamente il rapporto. Lì si vede come è il padrone che, per primo, senza condizioni, rimette un debito immenso al servo (diecimila talenti!) ed è proprio la sua generosità che avrebbe dovuto spingere il servo ad avere pietà di colui che gli doveva la misera somma di cento denari.



Dobbiamo dunque avere misericordia perché abbiamo ricevuto misericordia, non per ricevere misericordia; però dobbiamo avere misericordia, altrimenti la misericordia di Dio non avrà effetto per noi e ci verrà ritirata, come il padrone della parabola la ritirò al servo spietato. La grazia “previene” sempre ed è essa che crea il dovere: “Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi”, scrive san Paolo ai Colossesi (Col 3,13).



Se, nella beatitudine, la misericordia di Dio verso di noi sembra essere l’effetto della nostra misericordia verso i fratelli, è perché Gesù si colloca qui nella prospettiva del giudizio finale (“troveranno misericordia”, al futuro!). “Il giudizio, scrive infatti san Giacomo, sarà senza misericordia contro chi non avrà usato misericordia; la misericordia invece ha sempre la meglio nel giudizio” (Gc 2,13).



4. Fare esperienza della misericordia divina



Se la misericordia divina è all’inizio di tutto ed è essa che esige e rende possibile la misericordia degli uni verso gli altri, allora la cosa più importante per noi è fare un’esperienza rinnovata della misericordia di Dio. Ci stiamo avvicinando alla Pasqua e questa è l’esperienza pasquale per eccellenza.



Lo scrittore Franz Kafka ha scritto un romanzo intitolato Il Processo. In esso si parla di un uomo che un giorno, senza che nessuno sappia il perché, viene dichiarato in arresto, pur continuando la sua solita vita e il suo lavoro di modesto impiegato. Comincia un’estenuante ricerca per conoscere i motivi, il tribunale, le imputazioni, le procedure. Ma nessuno sa dirgli niente, se non che c’è veramente un processo in corso a suo carico. Finché un giorno verranno a prelevarlo per l’esecuzione della sentenza.



Nel corso della vicenda si viene a sapere che vi sarebbero, per quest’uomo, tre possibilità: l’assoluzione vera, l’assoluzione apparente e il rinvio. L’assoluzione apparente e il rinvio però non risolverebbero nulla; servirebbero solo a tenere l’imputato in un’incertezza mortale per tutta la vita. Nell’assoluzione vera invece “gli atti processuali devono essere totalmente eliminati, scompaiono del tutto dal procedimento; non solo l’accusa, ma anche il processo e persino la sentenza vengono distrutti, tutto viene distrutto”.



Ma di queste assoluzioni vere, tanto sospirate, non si sa se ne sia esistita mai alcuna; ci sono solo voci in proposito, null’altro che “bellissime leggende”. L’opera finisce così, come tutte quelle dell’autore: qualcosa che si intravede da lontano, si rincorre con affanno come in un incubo notturno, ma senza possibilità alcuna di raggiungerlo [5].



A Pasqua la liturgia della Chiesa ci trasmette l’incredibile notizia che l’assoluzione vera esiste per l’uomo; non è solo una leggenda, una cosa bellissima ma irraggiungibile. Gesù ha distrutto il “documento scritto della nostra colpa; lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce” (Col 2, 14). Ha distrutto tutto. “Non c’è più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù”, grida san Paolo (Rm 8, 1). Nessuna condanna! Di nessun genere! Per quelli che credono in Cristo Gesù!



A Gerusalemme c’era una piscina miracolosa e il primo che vi si buttava dentro, quando le acque venivano agitate, era guarito (cf. Gv 5, 2 ss.). La realtà però, anche qui, è infinitamente più grande del simbolo. Dalla croce di Cristo è sgorgata una fonte di acqua e sangue, e non uno soltanto ma tutti quelli che vi si buttano dentro ne escono guariti.



Dopo il battesimo questa piscina miracolosa è il sacramento della riconciliazione e quest’ultima meditazione vorrebbe servire proprio come preparazione a una buona confessione pasquale. Una confessione “fuori serie”, cioè diversa da quelle solite, in cui permettiamo davvero al Paraclito di “convincerci di peccato”. Potremmo prendere come specchio le beatitudini meditate in Quaresima, cominciando fin da adesso e ripetendo insieme l’espressione tanto antica e tanto bella: Kyrie eleison, Signore, pietà!



“Beati i puri di cuore”: Signore, riconosco tutta l’impurità e l’ipocrisia che c’è nel mio cuore; forse, la doppia vita che conduco davanti a te e davanti agli altri. Kyrie eleison!



“Beati i miti”: Signore, ti chiedo perdono per l’impazienza e la violenza nascosta che c’è dentro di me, per i giudizi avventati, la sofferenza che ho provocato alle persone intorno a me… Kyrie eleison



“Beati gli affamati”: Signore, perdona la mia indifferenza verso i poveri e gli affamati, la mia continua ricerca di comodità, il mio stile di vita borghese… Kyrie eleison



“Beati i misericordiosi”: Signore, spesso ho chiesto e ricevuto alla leggera la tua misericordia, senza rendermi conto a quale prezzo tu me l’hai procurata! Spesso sono stato il servo perdonato che non sa perdonare: Kyrie eleison. Signore pietà!



C’è una grazia particolare quando, non è solo l’individuo, ma l’intera comunità che si mette davanti a Dio in quest’atteggiamento penitenziale. Da un’esperienza profonda della misericordia di Dio si esce rinnovati e pieni di speranza: “Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo” (Ef 2, 4-5).



5. Una Chiesa “ricca in misericordia”



Nel suo messaggio per la Quaresima di quest’anno il Santo Padre scrive: “La Quaresima sia per ogni cristiano una rinnovata esperienza dell’amore di Dio donatoci in Cristo, amore che ogni giorno dobbiamo, a nostra volta, ridonare al prossimo”. Così è della misericordia, la forma che l’amore di Dio prende nei confronti dell’uomo peccatore: dopo averne fatto l’esperienza dobbiamo, a nostra volta, mostrarla con i fratelli. Questo sia a livello di comunità ecclesiale, sia a livello personale.



Predicando gli esercizi spirituali alla Curia Romana da questo stesso tavolo nell’anno giubilare del 2000, il Cardinal Francesco Saverio Van Thuan, alludendo al rito dell’apertura della Porta santa, disse in una meditazione: “Sogno una Chiesa che sia una ‘Porta Santa’, aperta, che accoglie tutti, piena di compassione e di comprensione per le pene e le sofferenze dell’umanità, tutta protesa a consolarla” [6].



La Chiesa del Dio “ricco di misericordia”, dives in misericordia, non può non essere essa stessa dives in misericordia. Dall’atteggiamento di Cristo verso i peccatori esaminato sopra deduciamo alcuni criteri. Egli non banalizza il peccato, ma trova il modo di non alienarsi mai i peccatori, ma piuttosto di attirarli a sé. Non vede in essi solo quello che sono, ma quello che possono divenire, se raggiunti dalla misericordia divina nel profondo della loro miseria e disperazione. Non aspetta che vengano da lui; spesso è lui che va a cercarli.



Oggi gli esegeti sono abbastanza d’accordo nell’ammettere che Gesú non aveva un atteggiamento ostile verso la legge mosaica, che osservava lui stesso scrupolosamente. Quello che lo poneva in contrasto con l’elite religiosa del suo tempo era una certa maniera rigida e a volte disumana di costoro di interpretare la legge. “Il sabato, diceva, è per l’uomo, non l’uomo per il sabato” (Mc 2,27), e quello che dice del riposo sabbatico, una delle leggi più sacre in Israele, vale per ogni altra legge.



Gesú è fermo e rigoroso nei principi, ma sa quando un principio deve cedere il passo a un principio superiore che è quello della misericordia di Dio e la salvezza dell’uomo. Come questi criteri desunti dall’agire di Cristo possano essere applicati concretamente ai problemi nuovi che si pongono nella società dipende dalla paziente ricerca e in definitiva dal discernimento del magistero. Anche nella vita della Chiesa, come in quella di Gesú, devono risplendere insieme e la misericordia delle mani e quella del cuore, sia le opere di misericordia, che “le viscere di misericordia”.



6. “Rivestitevi di sentimenti di misericordia”



L’ultima parola a proposito di ogni beatitudine deve essere sempre quella che ci tocca personalmente e spinge ognuno di noi alla conversione e alla pratica. San Paolo esortava i Colossesi con queste accorate parole:



“Rivestitevi dunque, come amati di Dio, santi e diletti, di sentimenti [alla lettera: di viscere] di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza; sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi” (Col 3, 12-13).



“Noi esseri umani, diceva sant’Agostino, siamo come vasi di creta che, solo sfiorandosi, si fanno del male” (lutea vasa quae faciunt invicem angustias) [7]. Non si può vivere insieme in armonia, nella famiglia e in ogni altro tipo di comunità, senza la pratica del perdono e della misericordia reciproca. Misericordia è una parola composta da misereo e cor; significa impietosirsi nel proprio cuore, commuoversi, a riguardo della sofferenza o dell’errore del fratello. È così che Dio spiega la sua misericordia di fronte al traviamento del popolo: “Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione” (Os 11,8).



Si tratta di reagire con il perdono e, fin dove è possibile, con la scusa, non con la condanna. Quando si tratta di noi, vale il detto: “Chi si scusa, Dio lo accusa; chi si accusa, Dio lo scusa”; quando si tratta degli altri avviene il contrario: “Chi scusa il fratello, Dio scusa lui; chi accusa il fratello, Dio accusa lui”.



Il perdono è per una comunità quello che è l’olio per il motore. Se uno esce in auto senza una goccia d’olio nel motore, dopo pochi chilometri andrà tutto in fiamme. Come l’olio anche il perdono scioglie gli attriti. C’è un salmo che canta la gioia del vivere insieme come fratelli riconciliati; dice che questo "è come olio profumato sul capo” che scende lungo la barba e le vesti di Aronne, fino all’orlo della sua veste (cf. Sal 133).



Il nostro Aronne, il nostro Sommo sacerdote, avrebbero detto i Padri della Chiesa, è Cristo; la misericordia e il perdono è l’olio che scende da questo “capo” elevato sulla croce e si diffonde lungo il corpo della Chiesa fino all’estremità delle sue vesti, fino a quelli che vivono ai suoi margini. Dove si vive così, nel perdono e nella misericordia reciproca, “il Signore dona la sua benedizione e la vita per sempre”.



Cerchiamo di individuare, tra i nostri rapporti con le persone, quello nel quale ci sembra necessario far penetrare l’olio della misericordia e della riconciliazione e versiamocelo silenziosamente, con abbondanza, in occasione della Pasqua. Uniamoci ai mostri fratelli ortodossi che a Pasqua non si stancano di cantare:



“È il giorno della Risurrezione!

Irradiamo gioia per la festa,

abbracciamoci tutti quanti.

Diciamo fratello anche a chi ci odia,

tutto perdoniamo per amore della Risurrezione”[8].









[1] Cf. E.P. Sanders, Jesus and Judaism, London 1985, p. 385 (Trad. ital. Gesù e il giudaismo, Genova 1992).

[2] Cf. J.D.G. Dunn, Gli albori del cristianesimo, I, 2, Brescia 2006, pp.567-572.

[3] Ch. Péguy, Il portico del mistero della seconda virtù, in Oeuvres poétiques complètes, Gallimard, Parigi 1975, pp. 571 ss.

[4] F. Dostoevskij, L’Idiota, Milano 1983, p. 272.

[5] F. Kafka, Il processo, Garzanti, Milano 1993, pp. 129 ss.

[6] F.X. Van Thuan, Testimoni della speranza, Città Nuova, Roma 2000, p.58.

[7] S. Agostino, Sermoni, 69, 1 (PL 38, 440)

[8] Stichirà di Pasqua, testi citati in G. Gharib, Le icone festive della Chiesa Ortodossa, Milano 1985, pp. 174-182.





Prediche di Avvento | Prediche di Quaresima
?
2007-11-21 17:58:06 UTC
*Nel capitolo 9, Paolo apostolo difende il suo apostolato, del fatto che non ha mai chiesto niente a nessuno per le sue necessità, che ha lavorato sodo per mandare avanti la predicazione del vangelo e se stesso. Pure avendo il diritto al sostegno economico della chiesa egli non ne fece ricorso.

*Nel capitolo 10, ammonisce i Corinzi ricordando loro l' esempio d' Israele nel deserto che ebbe un atteggiamento contrario nei confronti di Mosè, ricordando loro il castigo d'Israele per quel comportamento. Poi spiega come deve svolgersi la Santa Cena, ossia, la commemorazione del gesto di Cristo nel dividere il pane e il vino.

*Nel capitolo 11, stipula delle regole di comportamento per l'uomo e per la donna, esempio: uomini a capo scoperto e donne col capo coperto. Riprende il discorso sulla Santa Cena dando ulteriori istruzioni.

*Nel capitolo 12, parla dei doni dello Spirito Santo: la sapienza, la conoscenza, la guarigione, i miracoli, discernimento, ecc. Paragona la Chiesa ad un corpo umano, che ogni membro è diverso perché svolge un compito a sé, ma che tutti fanno parte dello stesso corpo.

*Nel capitolo 13, Narra l'eccellenza dell'amore e inizia il capitolo con questa famosa frase: "Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avesse amore, sarei un rame rissonante o un cimballo squillante...."

*Nel capitolo 14, Elenca i doni dello Spirito Santo per l'edificazione della Chiesa. Da delle direttive per lo svolgimento di un'adunanza fraterna al fine di rendere un buon culto a Dio.

*Nel capitolo 15, parla della resurrezione di Cristo e spiega ai Corinzi come e perché è avvenuta questa resurrezione.

Risponde ai quesiti intorno al mistero della resurrezione dei credenti.

*Nel capitolo 16, dona istruzioni per la coletta che le chiese offrono per i poveri e per la missione evangelica, fa alcune esortazioni sul comportamento e porge i suoi saluti.



Che porgo anch'io a te: Saluti.
marcapaola
2007-11-21 17:13:57 UTC
1 Corinzi 9

Gonfiati dai loro doni e dalla loro conoscenza, alcuni uomini si erano attribuiti un posto preponderante nell’assemblea di Corinto. E poiché innalzare se stessi porta spesso ad abbassare gli altri, costoro erano arrivati a contestare l’autorità dell’apostolo, cioè quella di Dio. Paolo si trova obbligato in questo modo a giustificare il suo ministerio e la sua condotta. Evangelizzare era il suo dovere, gliel’aveva richiesto il Signore, ed egli non aveva disubbidito alla visione celeste (Atti 26:17-19). L’esempio del lavoratore della terra torna frequentemente nella Parola, e sottolinea, prima di tutto, la fatica legata a questo lavoro (Genesi 3:17); poi la speranza e la fede che devono animare l’agricoltore (v. 10; 2 Timoteo 2:6); infine la pazienza con cui deve aspettare «il prezioso frutto della terra» (Giacomo 5:7). Ora, i Corinzi erano «il campo di Dio» (cap. 3:9), e il fedele operaio del Signore vi proseguiva il suo lavoro, dovendo rinunciare a molte cose legittime per non creare alcun ostacolo all’Evangelo di Cristo (quante cose meno legittime ostacolano spesso il nostro servizio). Paolo effettuava ora una penosa sarchiatura strappando, in un certo qual modo, tutte le cattive erbe che erano cresciute nel campo di Corinto. L’apostolo si faceva servitore di tutti per guadagnarli all’evangelo. Bisogna allora dedurre che si prestava ad ogni tipo di compromesso? Assolutamente no! Paolo era ritenuto «seduttore» per Cristo, eppure era «verace» (2 Corinzi 6:8). Ma, come Gesù al pozzo di Sichar, sapeva trovare ogni anima sul suo proprio terreno e parlarle il linguaggio che questa poteva comprendere. Ai Giudei presentava il Dio d’Israele, la loro responsabilità nel rigetto del Salvatore, Figlio di Davide, e la remissione dei peccati (Atti 13:38). Ai Gentili idolatri annunciava il Dio unico, paziente verso la sua creatura, ordinando il pentimento (Atti 17:22). L’apostolo aveva costantemente davanti agli occhi il premio che doveva coronare i suoi sforzi: tutte le anime salvate mediante il suo ministerio (1 Tessalonicesi 2:19; Filippesi 4:1). Teso verso questo scopo, correva come l’atleta nello stadio, disciplinando rigorosamente il suo corpo, non pensando che alla vittoria. Ma il campione sportivo ha davanti a sé solo una gloria effimera, degli allori che domani saranno appassiti (v. 25). La nostra corsa cristiana, invece, ha come premio una corona molto più gloriosa ed incorruttibile. Corriamo dunque in modo da riportarla (v. 24).



1 Corinzi 10

Mediante l’esempio d’Israele, Paolo ci fa misurare la grossa responsabilità di coloro che professano di essere cristiani. Essi hanno avuto parte, in molti casi solo esteriormente, alle più eccellenti benedizioni spirituali: Cristo, la Sua opera, il Suo Spirito, la Sua Parola... (v. 3,4). Dio non può compiacersi della maggior parte di loro perché manca la fede (v. 5; Ebrei 10:38). Mediante la storia di Israele nel deserto, il Signore ci offre un triste esempio di ciò che i nostri cuori sono capaci di produrre, anche nell’ambito cristiano: cupidigia, idolatria, mormorii... E ci avverte solennemente di ciò che meritano questi frutti della carne, benché la grazia agisca in favore del credente. Ora, questo male, che è latente in noi, il tentatore cerca di farlo venir fuori mediante le sue sollecitazioni, per farci cadere. E ciò avviene proprio nel momento in cui potremmo sentirci forti in virtù delle nostre proprie forze (v. 12). Ma «Dio è fedele»; che pensiero incoraggiante! Conoscendo la nostra debolezza, Egli non permetterà a Satana di tentarci al di là di ciò che ognuno di noi può sopportare (vedere Giobbe 1:12, 2:6), ed ha preparato in anticipo un esito vittorioso (v. 13). Appoggiamoci su queste promesse ogni volta che il Nemico si presenta. Sì, Dio è fedele! La comunione con Dio, parte benedetta del credente, esclude ogni contatto con l’idolatria, anche sotto le sue forme più mascherate. La comunione è espressa in particolar modo alla «mensa del Signore». Coloro che partecipano al calice ed al pane sono in linea di massima tutti dei riscattati del Signore, ma sono ben lontani dall’essere tutti i riscattati del Signore. Tuttavia noi li vediamo per fede rappresentati nell’unico pane, segno visibile del fatto che vi è un unico corpo. Esso esprime quell’unità della Chiesa che il mondo religioso pretende di voler realizzare mentre esiste già, anche se non esiste, purtroppo, l’unione di tutti i credenti. Se non cerco il mio interesse, quanti momenti diventano disponibili per gli interessi degli altri, che sono poi quelli di Gesù Cristo (confr. Filippesi 2:21)! Ora, cercare l’interesse degli altri non significa solo badare al loro benessere: significa anche pensare alla loro coscienza. Significa fare certe cose per loro e astenersi dal farne altre. Anche sotto questo aspetto sarò indotto a chiedermi: Nella situazione presente, ho la libertà di rendere grazie? Ciò che faccio in questo momento, compreso semplicemente mangiare e bere (in contrasto col versetto 7), è o non è per la gloria di Dio?



1 Corinzi 11

Poche porzioni della Bibbia sono state fatte oggetto di tante contestazioni quanto gli insegnamenti di questi capitoli (v. 16). Perché l’apostolo — o piuttosto lo Spirito Santo — si occupa di questioni apparentemente minime, come il fatto che una donna deve portare i capelli lunghi e non pregare senza avere il capo coperto? Ricordiamoci prima di tutto che il nostro cristianesimo non consiste in qualche bella azione compiuta di tanto in tanto, ma che è fatto di un insieme di dettagli che formano la nostra vita quotidiana (Luca 16:10). D’altra parte, ricordiamoci che Dio è sovrano e non è tenuto a fornirci la spiegazione di tutto ciò che richiede nella sua Parola. Ubbidire senza discutere è la sola vera ubbidienza. Così, queste istruzioni sono una specie di test per ogni ragazza o donna cristiana. È come se il Signore le domandasse: Farai questo per me? Avrai a cuore di mostrare con questo segno esteriore la tua dipendenza e la tua sottomissione, oppure farai passare in primo piano le esigenze della moda o della comodità? Infine, non dimentichiamo questo fatto solenne: il mondo invisibile degli angeli osserva in che modo i credenti rispondono al pensiero di Dio (v. 10). Quale spettacolo offriamo loro? A Corinto vi erano dei partiti. Anche le riunioni dell’assemblea ne risentivano. I ricchi facevano vergognare i poveri e provocavano la loro gelosia. Cosa ancor più grave, la cena del Signore, confusa con l’agape (il pasto in comune), era presa indegnamente da molti. All’apostolo si presenta l’occasione per ricordare ciò che il Signore gli ha rivelato. La cena è il santo ricordo d’un Cristo che si è dato per noi. Un ricordo che parla certamente al cuore di ogni partecipante, ma che proclama anche questo fatto capitale: Colui che è il Signore ha dovuto morire. E, fino al Suo ritorno, noi siamo invitati ad annunciare questa morte del Signore col linguaggio così grande e semplice che ci è stato insegnato. Questo memoriale parla infine alla coscienza del credente, poiché la morte di Cristo significa la condanna del peccato. Prendere la cena senza essersi prima giudicati espone dunque (per la terra) agli effetti di questa condanna. Così si spiegava la debolezza di molti a Corinto (e forse di molti di noi), la malattia, ed anche la morte, che avevano colpito alcuni quale castigo (v. 30). Tuttavia, il timore non deve tenerci lontani (v. 28), ma può e deve accordarsi con una risposta fervente a Colui che ha detto: «Fate questo in memoria di me» (v. 24,25).



1 Corinzi 12

Parlando delle riunioni dell’assemblea, l’apostolo ha dato il primo posto alla celebrazione della cena (cap. 11:20-34). In seguito tratta dei doni e dei servizi che hanno in vista l’edificazione. Non trascuriamo alcuna di queste riunioni! Paolo ricorda a questi credenti che essi erano un tempo idolatri, trascinati dagli spiriti satanici (v. 2). Che cambiamento! Ora è lo Spirito di Dio che li conduce, operando in loro «come Egli vuole» mediante i doni che distribuisce (v. 11). L’apostolo enumera questi doni, precisando che essi sono dati in vista dell’utile comune. E, per illustrare sia l’unità della Chiesa che la diversità dei servizi, prende l’esempio del corpo umano: composto da molte membra e organi che possono funzionare solo in presenza degli altri, esso costituisce tuttavia un organismo unico, condotto da una sola volontà, quella che la testa comunica ad ogni membro. Così è il corpo di Cristo. Se comprende molte membra (i credenti), è però animato da un unico Spirito per compiere un’unica volontà, quella del Signore che è «il capo» (cioè la testa: Efesini 4:15,16). Non dobbiamo dunque scegliere noi né la nostra attività (v. 11), né il luogo in cui dobbiamo esercitarla (v. 18). Che cosa meravigliosa è il nostro corpo! «Io ti celebrerò, perché sono stato fatto in modo meraviglioso, stupendo», esclama Davide nel Salmo 139:14. Sì, che diversità e che armonia in questo complesso insieme di membra e di organi, il più piccolo dei quali ha la sua ragione d’essere e la sua specifica funzione! L’occhio e un dito, ad esempio, non possono sostituirsi l’un l’altro. Ma il dito ci permette di togliere la polvere che irrita l’occhio. Basta che un solo organo funzioni insufficientemente o in modo sregolato perché tutto il corpo risulti ben presto ammalato. Tutto ciò trova il suo equivalente nella Chiesa, corpo di Cristo. «Le membra... che paiono essere più deboli, sono invece necessarie» (v. 22), e ognuno deve guardarsi dal disprezzare sia la propria funzione (v. 15,16) che quella degli altri (v. 21). Una cristiana anziana o inferma, con le preghiere, con una parola detta a proposito o semplicemente con un conforto materiale, potrà sostenere lo zelo d’un evangelista o d’un pastore. Così, ognuno impieghi ciò che ha ricevuto per gli altri, come un buon dispensatore della svariata grazia di Dio (1 Pietro 4:10).



1 Corinzi 13

Dopo le diverse membra del corpo di Cristo che troviamo al cap. 12 (piede, mano, orecchio, occhio), al capitolo 13 è come se trovassimo il cuore. Il suo ruolo è quello di far giungere la vita e il calore a tutti gli altri organi. Ricordiamo che l’amore non è un dono, come quelli del capitolo 12, ma il movente necessario all’esercizio di tutti i doni. È una «via» aperta a tutti e che conduce verso tutti (12:31). Come una strada è fatta per camminarvi sopra, così l’amore si conosce veramente solo con l’esperienza. Ecco perché questo meraviglioso capitolo non ce ne dà alcuna definizione. Vi troviamo una lista non limitativa (ma sufficiente per umiliarci profondamente), di tutto ciò che l’amore fa e soprattutto di ciò che non fa. Questa è stata la via percorsa da Cristo quaggiù; ed osserviamo che il suo Nome può essere sostituito al termine «amore» in questo capitolo senza minimamente mutarne il senso (vedere 1 Giovanni 4:8). Nella nostra conoscenza delle cose ancora invisibili, tutto è parziale, indistinto, precario. Ma presto vedremo «faccia a faccia». Allora il nostro Salvatore, che ci ha conosciuto a fondo, ci farà entrare nella completa conoscenza di Se stesso (v. 12; Salmo 139:1). Allora l’amore imperituro sarà perfettamente ed eternamente soddisfatto nel nostro cuore e nel Suo.



1 Corinzi 14

Molti si lamentano dell’attuale debolezza dovuta all’assenza di doni in molte assemblee. Ma, in realtà, li ricerchiamo noi come invita a fare il v. 1? Il Signore forse si è proposto di affidarvi un certo dono e, per farlo, aspetta di leggere in voi questo ardente desiderio. Chiedeteglielo... insieme all’umiltà che vi impedirà di gloriarvi di questo dono; non è per voi, ma per l’Assemblea (v. 12). I Corinzi si servivano dei doni per la loro gloria personale, e ne era derivato il più grande disordine. L’apostolo li riporta ad una giusta valutazione delle cose, mostrando loro che il dono di cui si vantavano maggiormente, quello delle lingue, era proprio uno dei meno grandi (v. 5). Il dono di profezia era invece, e resta, particolarmente desiderabile. Non è più, come un tempo, la rivelazione del futuro, ma serve ad edificare, ad esortare, a consolare. Il v. 15 ci ricorda che, per pregare come per cantare, è necessaria una partecipazione della nostra intelligenza. Noi che siamo spesso così distratti in presenza del Signore, pensiamo a ciò che esprimiamo davanti a Dio; applichiamoci a meditarne la profondità. Ma che il nostro spirito sia condotto dallo Spirito Santo.



1 Corinzi 14

Il dono delle lingue era accordato, all’inizio, come prova che il messaggio di salvezza era universale, e non certo per edificare l’assemblea. Ora, «l’edificazione» è la parola chiave di questo capitolo, la pietra di paragone alla quale ogni azione deve essere confrontata; ciò che mi propongo di dire o di fare è realmente per il bene dei miei fratelli (Efesini 4:29)? D’altronde, se ho in vista il loro profitto, troverò sempre allo stesso tempo una benedizione per me stesso. Se invece penso al mio interesse o alla mia gloria, alla fine ci sarà una perdita per gli altri e per me (3:15). Altre due condizioni sono alla base della vita dell’assemblea: il decoro e l’ordine (v. 40). Sono le due dighe fra le quali deve essere contenuta la corrente dello Spirito. Esse impongono delle regole pratiche che coinvolgono il buon senso (v. 26-33) o l’ordine divino (v. 34,35). L’apostolo non voleva che i Corinzi fossero ignoranti (12:1). Tuttavia, se qualcuno trascura di istruirsi su questi soggetti concernenti l’assemblea, ebbene, dice Paolo, che resti ignorante (v. 38)! Dio è un Dio di pace (v. 33) e vuole che l’assemblea, rispondendo ai suoi caratteri, sia un luogo in cui Egli possa condurre degli inconvertiti, i quali vi riconosceranno la Sua presenza (v. 24,25).



1 Corinzi 15

Restava da regolare una grave questione: alcune persone a Corinto negavano la risurrezione. Paolo dimostra che non si può intaccare questa dottrina senza sconvolgere tutto l’edificio della fede cristiana. Se non c’è risurrezione, neanche Cristo è risorto; la sua opera non ha ricevuto l’approvazione di Dio; la morte non è stata vinta e noi siamo ancora nei nostri peccati. Di conseguenza, l’Evangelo non ha più alcun senso, e la nostra fede ha perso ogni appoggio! La vita di rinuncia e di separazione del cristiano diventa assurda, ed egli diventa uno da compiangere, poiché perde sia la vita presente che l’eternità. Grazie a Dio, non è così: «Il Signore è veramente risuscitato» (Luca 24:34). Ma di fronte all’importanza di questa verità, comprendiamo perché Dio ha avuto tanta cura di stabilirla. In primo luogo, mediante le Scritture (v. 3,4); poi, per mezzo di testimoni che danno garanzia sia per la loro qualità (Pietro, Giacomo, Paolo stesso benché se ne dichiari indegno), sia per il loro numero (circa cinquecento fratelli che potevano ancora essere interrogati). E, senza dubbio, più d’uno fra i nostri lettori, senza avere ancora visto il Signore Gesù coi suoi occhi, ha sperimentato personalmente che il suo Salvatore è vivente (confr. Giobbe 19:25). Cristo risorto non ha fatto che precedere i credenti che si sono «addormentati», i quali risusciteranno alla sua venuta. Per quanto riguarda gli altri morti, essi saranno «resi viventi» solo più tardi, per comparire davanti al trono del giudizio (Apocalisse 20:12). E solo allora tutto sarà definitivamente sottomesso a Cristo. Dopo di che, il pensiero si perde nelle profondità della beata eternità in cui Dio sarà infine tutto in tutti (v. 28). Chiusa questa gloriosa parentesi (v. 20-28), l’apostolo mostra come il fatto di credere o non credere alla vita futura determini il comportamento di tutti gli uomini... a cominciare dal suo (v. 30-32). Quanti infelici vi sono, per i quali tutta la religione consiste in queste parole: «Mangiamo e beviamo, perché domani morremo»! (v. 32). Essi si convincono che non esiste niente al di là della tomba per poter godere senza freno della loro breve esistenza, «come bruti senza ragione, nati alla vita animale» (2 Pietro 2:12). Quanto al cristiano, la sua fede lo dovrebbe tenere sveglio (v. 34), preservarlo dall’associarsi a compagnie pericolose, impedirgli di mangiare e bere con gli ubriaconi di questo mondo (v. 33; Matteo 24:49). Che la compagnia del Signore e dei suoi ci basti fino al Suo ritorno! A che cosa assomiglierà il nuovo corpo di cui il credente sarà rivestito nella gloria? (v. 35). La Bibbia non soddisfa mai la nostra curiosità. A tutti gli sforzi della nostra immaginazione risponde: «Insensato». Se vi presentassi un seme sconosciuto, voi non potreste dirmi che genere di pianta ne uscirà. Così, in un bruco ripugnante e insignificante, niente lascia prevedere la farfalla che si sprigionerà multicolore con tutti i suoi giochi di luce. Ma per assistere ai piccoli miracoli della germinazione o della metamorfosi sono necessarie la morte del seme così come il sonno della crisalide (confr. Giovanni 12:24). Così, il riscattato che si è «addormentato» apparirà rivestito d’un corpo di risurrezione. Che avvenire straordinario è riservato a questo corpo di polvere, semplice involucro dell’anima! Esso risuscita «incorruttibile»: la morte non ha più alcun potere su di esso. Sarà «glorioso» e «potente», senza più infermità e debolezza; sarà «corpo spirituale», definitivamente libero dalla carne e dai suoi desideri, strumento perfetto dello Spirito Santo. Infine, sarà simile a quello di Cristo risuscitato. Non abbiamo già sufficienti e preziose informazioni sul nostro stato futuro, e motivi per glorificare Dio fin da ora nel nostro corpo? (6:14,20).

Questa magistrale esposizione della dottrina della risurrezione non sarebbe completa senza un’ultima rivelazione: non tutti i credenti passeranno attraverso il sonno della morte. I viventi non saranno dimenticati quando Gesù verrà. «In un batter d’occhio» avrà luogo la straordinaria trasformazione che renderà ognuno adatto alla presenza di Dio. Come nella parabola gli invitati alle nozze regali dovevano cambiare i loro stracci con l’abito glorioso (Matteo 22), così i morti e i viventi rivestiranno un corpo incorruttibile e immortale. Allora, la vittoria di Cristo sulla morte, di cui ha dato prova nella sua risurrezione, avrà il suo grandioso compimento nei suoi riscattati. Ebbene! come ogni verità, questo «mistero» deve avere una conseguenza pratica nella vita di ogni riscattato. La nostra speranza è «ferma» (Ebrei 6:19); restiamo saldi anche noi, «incrollabili, abbondanti sempre nell’opera del Signore». Il nostro lavoro non sarà mai vano se è fatto «nel Signore» (v. 58, risposta al v. 32). Anche se nessun frutto è visibile sulla terra, vi è un seguito in risurrezione.



Il capitolo 16 fornisce un esempio di servizio cristiano: la colletta ogni primo giorno della settimana. Essa è molto importante per il cuore dell’apostolo e per quello del Signore. Questi versetti contengono le ultime raccomandazioni dell’apostolo, alcune notizie, e i saluti che rivolge ai suoi cari Corinzi. Fra di loro, si compiace di riconoscere dei fratelli devoti e degni di rispetto: Stefana, Fortunato, Acaico, e li cita ad esempio (1 Timoteo 3:13). Per quei credenti di Corinto che si occupavano solo degli effetti esteriori e spettacolari del cristianesimo, Paolo ha sottolineato quali motivi dovevano farli agire: «fate tutto alla gloria di Dio» (10:31); «facciasi ogni cosa per l’edificazione» (14:26); «ogni cosa sia fatta con decoro e con ordine» (14:40); ora dice: «Tutte le cose vostre sian fatte con carità» (v. 14). Ed è su questo termine carità (cioè amore) che Paolo termina quest’epistola pur così severa (confr. 2 Corinzi 7:8). Senza tener conto dei partiti che esistevano a Corinto, egli afferma: «L’amor mio è con tutti voi in Cristo Gesù». Però, essendovi quella triste condizione, se vi era qualcuno che non amava il Signore, si escludeva da solo da questo saluto e la Sua venuta assumeva per lui un carattere solenne. «Maràn-atà»; il Signore viene! Che possiamo aspettarlo con gioia!
anonymous
2007-11-21 16:59:14 UTC
ma tu stai male!!
anonymous
2007-11-21 17:00:54 UTC
1Corinzi 9

1 Non sono forse libero, io? Non sono un apostolo? Non ho veduto Gesù, Signore nostro? E non siete voi la mia opera nel Signore? 2 Anche se per altri non sono apostolo, per voi almeno lo sono; voi siete il sigillo del mio apostolato nel Signore. 3 Questa è la mia difesa contro quelli che mi accusano. 4 Non abbiamo forse noi il diritto di mangiare e di bere? 5 Non abbiamo il diritto di portare con noi una donna credente, come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa? 6 Ovvero solo io e Barnaba non abbiamo il diritto di non lavorare?

7 E chi mai presta servizio militare a proprie spese? Chi pianta una vigna senza mangiarne il frutto? O chi fa pascolare un gregge senza cibarsi del latte del gregge? 8 Io non dico questo da un punto di vista umano; è la Legge che dice così. 9 Sta scritto infatti nella legge di Mosè: Non metterai la museruola al bue che trebbia. Forse Dio si dà pensiero dei buoi? 10 Oppure lo dice proprio per noi? Certamente fu scritto per noi. Poiché colui che ara deve arare nella speranza di avere la sua parte, come il trebbiatore trebbiare nella stessa speranza. 11 Se noi abbiamo seminato in voi le cose spirituali, è forse gran cosa se raccoglieremo beni materiali? 12 Se gli altri hanno tale diritto su di voi, non l'avremmo noi di più? Noi però non abbiamo voluto servirci di questo diritto, ma tutto sopportiamo per non recare intralcio al vangelo di Cristo. 13 Non sapete che coloro che celebrano il culto traggono il vitto dal culto, e coloro che attendono all'altare hanno parte dell'altare? 14 Così anche il Signore ha disposto che quelli che annunziano il vangelo vivano del vangelo.

15 Ma io non mi sono avvalso di nessuno di questi diritti, né ve ne scrivo perché ci si regoli in tal modo con me; preferirei piuttosto morire. Nessuno mi toglierà questo vanto! 16 Non è infatti per me un vanto predicare il vangelo; è un dovere per me: guai a me se non predicassi il vangelo! 17 Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato. 18 Quale è dunque la mia ricompensa? Quella di predicare gratuitamente il vangelo senza usare del diritto conferitomi dal vangelo.

19 Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero: 20 mi sono fatto Giudeo con i Giudei, per guadagnare i Giudei; con coloro che sono sotto la legge sono diventato come uno che è sotto la legge, pur non essendo sotto la legge, allo scopo di guadagnare coloro che sono sotto la legge. 21 Con coloro che non hanno legge sono diventato come uno che è senza legge, pur non essendo senza la legge di Dio, anzi essendo nella legge di Cristo, per guadagnare coloro che sono senza legge. 22 Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno. 23 Tutto io faccio per il vangelo, per diventarne partecipe con loro.

24 Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! 25 Però ogni atleta è temperante in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona corruttibile, noi invece una incorruttibile. 26 Io dunque corro, ma non come chi è senza mèta; faccio il pugilato, ma non come chi batte l'aria, 27 anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù perché non succeda che dopo avere predicato agli altri, venga io stesso squalificato.



1Corinzi 10

1 Non voglio infatti che ignoriate, o fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nuvola, tutti attraversarono il mare, 2 tutti furono battezzati in rapporto a Mosè nella nuvola e nel mare, 3 tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, 4 tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo. 5 Ma della maggior parte di loro Dio non si compiacque e perciò furono abbattuti nel deserto.

6 Ora ciò avvenne come esempio per noi, perché non desiderassimo cose cattive, come essi le desiderarono. 7 Non diventate idolàtri come alcuni di loro, secondo quanto sta scritto: Il popolo sedette a mangiare e a bere e poi si alzò per divertirsi. 8 Non abbandoniamoci alla fornicazione, come vi si abbandonarono alcuni di essi e ne caddero in un solo giorno ventitremila. 9 Non mettiamo alla prova il Signore, come fecero alcuni di essi, e caddero vittime dei serpenti. 10 Non mormorate, come mormorarono alcuni di essi, e caddero vittime dello sterminatore. 11 Tutte queste cose però accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per ammonimento nostro, di noi per i quali è arrivata la fine dei tempi. 12 Quindi, chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere. 13 Nessuna tentazione vi ha finora sorpresi se non umana; infatti Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche la via d'uscita e la forza per sopportarla.

14 Perciò, o miei cari, fuggite l'idolatria. 15 Parlo come a persone intelligenti; giudicate voi stessi quello che dico: 16 il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? 17 Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell'unico pane. 18 Guardate Israele secondo la carne: quelli che mangiano le vittime sacrificali non sono forse in comunione con l'altare?

19 Che cosa dunque intendo dire? Che la carne immolata agli idoli è qualche cosa? O che un idolo è qualche cosa? 20 No, ma dico che i sacrifici dei pagani sono fatti a demòni e non a Dio. Ora, io non voglio che voi entriate in comunione con i demòni; 21 non potete bere il calice del Signore e il calice dei demòni; non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demòni. 22 O vogliamo provocare la gelosia del Signore? Siamo forse più forti di lui?

23 «Tutto è lecito!». Ma non tutto è utile! «Tutto è lecito!». Ma non tutto edifica. 24 Nessuno cerchi l'utile proprio, ma quello altrui. 25 Tutto ciò che è in vendita sul mercato, mangiatelo pure senza indagare per motivo di coscienza, 26 perché del Signore è la terra e tutto ciò che essa contiene.

27 Se qualcuno non credente vi invita e volete andare, mangiate tutto quello che vi viene posto davanti, senza fare questioni per motivo di coscienza. 28 Ma se qualcuno vi dicesse: «È carne immolata in sacrificio», astenetevi dal mangiarne, per riguardo a colui che vi ha avvertito e per motivo di coscienza; 29 della coscienza, dico, non tua, ma dell'altro. Per qual motivo, infatti, questa mia libertà dovrebbe esser sottoposta al giudizio della coscienza altrui? 30 Se io con rendimento di grazie partecipo alla mensa, perché dovrei essere biasimato per quello di cui rendo grazie?

31 Sia dunque che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio. 32 Non date motivo di scandalo né ai Giudei, né ai Greci, né alla Chiesa di Dio; 33 così come io mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare l'utile mio ma quello di molti, perché giungano alla salvezza.



1Corinzi 11

1 Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo.

2 Vi lodo poi perché in ogni cosa vi ricordate di me e conservate le tradizioni così come ve le ho trasmesse. 3 Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l'uomo, e capo di Cristo è Dio. 4 Ogni uomo che prega o profetizza con il capo coperto, manca di riguardo al proprio capo. 5 Ma ogni donna che prega o profetizza senza velo sul capo, manca di riguardo al proprio capo, poiché è lo stesso che se fosse rasata. 6 Se dunque una donna non vuol mettersi il velo, si tagli anche i capelli! Ma se è vergogna per una donna tagliarsi i capelli o radersi, allora si copra.

7 L'uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell'uomo. 8 E infatti non l'uomo deriva dalla donna, ma la donna dall'uomo; 9 né l'uomo fu creato per la donna, ma la donna per l'uomo. 10 Per questo la donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza a motivo degli angeli. 11 Tuttavia, nel Signore, né la donna è senza l'uomo, né l'uomo è senza la donna; 12 come infatti la donna deriva dall'uomo, così l'uomo ha vita dalla donna; tutto poi proviene da Dio. 13 Giudicate voi stessi: è conveniente che una donna faccia preghiera a Dio col capo scoperto? 14 Non è forse la natura stessa a insegnarci che è indecoroso per l'uomo lasciarsi crescere i capelli, 15 mentre è una gloria per la donna lasciarseli crescere? La chioma le è stata data a guisa di velo. 16 Se poi qualcuno ha il gusto della contestazione, noi non abbiamo questa consuetudine e neanche le Chiese di Dio.

17 E mentre vi do queste istruzioni, non posso lodarvi per il fatto che le vostre riunioni non si svolgono per il meglio, ma per il peggio. 18 Innanzi tutto sento dire che, quando vi radunate in assemblea, vi sono divisioni tra voi, e in parte lo credo. 19 È necessario infatti che avvengano divisioni tra voi, perché si manifestino quelli che sono i veri credenti in mezzo a voi. 20 Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. 21 Ciascuno infatti, quando partecipa alla cena, prende prima il proprio pasto e così uno ha fame, l'altro è ubriaco. 22 Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla chiesa di Dio e far vergognare chi non ha niente? Che devo dirvi? Lodarvi? In questo non vi lodo!

23 Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane 24 e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». 25 Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me». 26 Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga. 27 Perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. 28 Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; 29 perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. 30 È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti. 31 Se però ci esaminassimo attentamente da noi stessi, non saremmo giudicati; 32 quando poi siamo giudicati dal Signore, veniamo ammoniti per non esser condannati insieme con questo mondo.

33 Perciò, fratelli miei, quando vi radunate per la cena, aspettatevi gli uni gli altri. 34 E se qualcuno ha fame, mangi a casa, perché non vi raduniate a vostra condanna. Quanto alle altre cose, le sistemerò alla mia venuta.



1Corinzi 12

1 Riguardo ai doni dello Spirito, fratelli, non voglio che restiate nell'ignoranza. 2 Voi sapete infatti che, quando eravate pagani, vi lasciavate trascinare verso gli idoli muti secondo l'impulso del momento. 3 Ebbene, io vi dichiaro: come nessuno che parli sotto l'azione dello Spirito di Dio può dire «Gesù è anàtema», così nessuno può dire «Gesù è Signore» se non sotto l'azione dello Spirito Santo.

4 Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; 5 vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; 6 vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. 7 E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune: 8 a uno viene concesso dallo Spirito il linguaggio della sapienza; a un altro invece, per mezzo dello stesso Spirito, il linguaggio di scienza; 9 a uno la fede per mezzo dello stesso Spirito; a un altro il dono di far guarigioni per mezzo dell'unico Spirito; 10 a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di distinguere gli spiriti; a un altro le varietà delle lingue; a un altro infine l'interpretazione delle lingue. 11 Ma tutte queste cose è l'unico e il medesimo Spirito che le opera, distribuendole a ciascuno come vuole.

12 Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. 13 E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito. 14 Ora il corpo non risulta di un membro solo, ma di molte membra. 15 Se il piede dicesse: «Poiché io non sono mano, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe più parte del corpo. 16 E se l'orecchio dicesse: «Poiché io non sono occhio, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe più parte del corpo. 17 Se il corpo fosse tutto occhio, dove sarebbe l'udito? Se fosse tutto udito, dove l'odorato? 18 Ora, invece, Dio ha disposto le membra in modo distinto nel corpo, come egli ha voluto. 19 Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? 20 Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. 21 Non può l'occhio dire alla mano: «Non ho bisogno di te»; né la testa ai piedi: «Non ho bisogno di voi». 22 Anzi quelle membra del corpo che sembrano più deboli sono più necessarie; 23 e quelle parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggior rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggior decenza, 24 mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha composto il corpo, conferendo maggior onore a ciò che ne mancava, 25 perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra avessero cura le une delle altre. 26 Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. 27 Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte.

28 Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi vengono i miracoli, poi i doni di far guarigioni, i doni di assistenza, di governare, delle lingue. 29 Sono forse tutti apostoli? Tutti profeti? Tutti maestri? Tutti operatori di miracoli? 30 Tutti possiedono doni di far guarigioni? Tutti parlano lingue? Tutti le interpretano?

31 Aspirate ai carismi più grandi! E io vi mostrerò una via migliore di tutte.



1Corinzi 13

1 Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna.

2 E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla.

3 E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova.

4 La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, 5 non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, 6 non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. 7 Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. 8 La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà. 9 La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia. 10 Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. 11 Quand'ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l'ho abbandonato. 12 Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto.

13 Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!



1Corinzi 14

1 Ricercate la carità. Aspirate pure anche ai doni dello Spirito, soprattutto alla profezia. 2 Chi infatti parla con il dono delle lingue non parla agli uomini, ma a Dio, giacché nessuno comprende, mentre egli dice per ispirazione cose misteriose. 3 Chi profetizza, invece, parla agli uomini per loro edificazione, esortazione e conforto. 4 Chi parla con il dono delle lingue edifica se stesso, chi profetizza edifica l'assemblea. 5 Vorrei vedervi tutti parlare con il dono delle lingue, ma preferisco che abbiate il dono della profezia; in realtà è più grande colui che profetizza di colui che parla con il dono delle lingue, a meno che egli anche non interpreti, perché l'assemblea ne riceva edificazione.

6 E ora, fratelli, supponiamo che io venga da voi parlando con il dono delle lingue; in che cosa potrei esservi utile, se non vi parlassi in rivelazione o in scienza o in profezia o in dottrina? 7 È quanto accade per gli oggetti inanimati che emettono un suono, come il flauto o la cetra; se non si distinguono con chiarezza i suoni, come si potrà distinguere ciò che si suona col flauto da ciò che si suona con la cetra? 8 E se la tromba emette un suono confuso, chi si preparerà al combattimento? 9 Così anche voi, se non pronunziate parole chiare con la lingua, come si potrà comprendere ciò che andate dicendo? Parlerete al vento! 10 Nel mondo vi sono chissà quante varietà di lingue e nulla è senza un proprio linguaggio; 11 ma se io non conosco il valore del suono, sono come uno straniero per colui che mi parla, e chi mi parla sarà uno straniero per me.

12 Quindi anche voi, poiché desiderate i doni dello Spirito, cercate di averne in abbondanza, per l'edificazione della comunità. 13 Perciò chi parla con il dono delle lingue, preghi di poterle interpretare. 14 Quando infatti prego con il dono delle lingue, il mio spirito prega, ma la mia intelligenza rimane senza frutto. 15 Che fare dunque? Pregherò con lo spirito, ma pregherò anche con l'intelligenza; canterò con lo spirito, ma canterò anche con l'intelligenza. 16 Altrimenti se tu benedici soltanto con lo spirito, colui che assiste come non iniziato come potrebbe dire l'Amen al tuo ringraziamento, dal momento che non capisce quello che dici? 17 Tu puoi fare un bel ringraziamento, ma l'altro non viene edificato. 18 Grazie a Dio, io parlo con il dono delle lingue molto più di tutti voi; 19 ma in assemblea preferisco dire cinque parole con la mia intelligenza per istruire anche gli altri, piuttosto che diecimila parole con il dono delle lingue.

20 Fratelli, non comportatevi da bambini nei giudizi; siate come bambini quanto a malizia, ma uomini maturi quanto ai giudizi. 21 Sta scritto nella Legge:

Parlerò a questo popolo in altre lingue

e con labbra di stranieri,

ma neanche così mi ascolteranno,

dice il Signore. 22 Quindi le lingue non sono un segno per i credenti ma per i non credenti, mentre la profezia non è per i non credenti ma per i credenti. 23 Se, per esempio, quando si raduna tutta la comunità, tutti parlassero con il dono delle lingue e sopraggiungessero dei non iniziati o non credenti, non direbbero forse che siete pazzi? 24 Se invece tutti profetassero e sopraggiungesse qualche non credente o un non iniziato, verrebbe convinto del suo errore da tutti, giudicato da tutti; 25 sarebbero manifestati i segreti del suo cuore, e così prostrandosi a terra adorerebbe Dio, proclamando che veramente Dio è fra voi.

26 Che fare dunque, fratelli? Quando vi radunate ognuno può avere un salmo, un insegnamento, una rivelazione, un discorso in lingue, il dono di interpretarle. Ma tutto si faccia per l'edificazione. 27 Quando si parla con il dono delle lingue, siano in due o al massimo in tre a parlare, e per ordine; uno poi faccia da interprete. 28 Se non vi è chi interpreta, ciascuno di essi taccia nell'assemblea e parli solo a se stesso e a Dio. 29 I profeti parlino in due o tre e gli altri giudichino. 30 Se uno di quelli che sono seduti riceve una rivelazione, il primo taccia: 31 tutti infatti potete profetare, uno alla volta, perché tutti possano imparare ed essere esortati. 32 Ma le ispirazioni dei profeti devono essere sottomesse ai profeti, 33 perché Dio non è un Dio di disordine, ma di pace.

34 Come in tutte le comunità dei fedeli, le donne nelle assemblee tacciano perché non è loro permesso parlare; stiano invece sottomesse, come dice anche la legge. 35 Se vogliono imparare qualche cosa, interroghino a casa i loro mariti, perché è sconveniente per una donna parlare in assemblea.

36 Forse la parola di Dio è partita da voi? O è giunta soltanto a voi? 37 Chi ritiene di essere profeta o dotato di doni dello Spirito, deve riconoscere che quanto scrivo è comando del Signore; 38 se qualcuno non lo riconosce, neppure lui è riconosciuto. 39 Dunque, fratelli miei, aspirate alla profezia e, quanto al parlare con il dono delle lingue, non impeditelo. 40 Ma tutto avvenga decorosamente e con ordine.



1Corinzi 15

1 Vi rendo noto, fratelli, il vangelo che vi ho annunziato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi, 2 e dal quale anche ricevete la salvezza, se lo mantenete in quella forma in cui ve l'ho annunziato. Altrimenti, avreste creduto invano!

3 Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, 4 fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, 5 e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. 6 In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. 7 Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. 8 Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. 9 Io infatti sono l'infimo degli apostoli, e non sono degno neppure di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. 10 Per grazia di Dio però sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana; anzi ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me. 11 Pertanto, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto.

12 Ora, se si predica che Cristo è risuscitato dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti? 13 Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! 14 Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede. 15 Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato Cristo, mentre non lo ha risuscitato, se è vero che i morti non risorgono. 16 Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; 17 ma se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. 18 E anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. 19 Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini.

20 Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. 21 Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; 22 e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo. 23 Ciascuno però nel suo ordine: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo; 24 poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza. 25 Bisogna infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. 26 L'ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte, 27 perché ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi. Però quando dice che ogni cosa è stata sottoposta, è chiaro che si deve eccettuare Colui che gli ha sottomesso ogni cosa. 28 E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti.

29 Altrimenti, che cosa farebbero quelli che vengono battezzati per i morti? Se davvero i morti non risorgono, perché si fanno battezzare per loro? 30 E perché noi ci esponiamo al pericolo continuamente? 31 Ogni giorno io affronto la morte, come è vero che voi siete il mio vanto, fratelli, in Cristo Gesù nostro Signore! 32 Se soltanto per ragioni umane io avessi combattuto a Efeso contro le belve, a che mi gioverebbe? Se i morti non risorgono, mangiamo e beviamo, perché domani moriremo. 33 Non lasciatevi ingannare: «Le cattive compagnie corrompono i buoni costumi». 34 Ritornate in voi, come conviene, e non peccate! Alcuni infatti dimostrano di non conoscere Dio; ve lo dico a vostra vergogna.

35 Ma qualcuno dirà: «Come risuscitano i morti? Con quale corpo verranno?». 36 Stolto! Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore; 37 e quello che semini non è il corpo che nascerà, ma un semplice chicco, di grano per esempio o di altro genere. 38 E Dio gli dà un corpo come ha stabilito, e a ciascun seme il proprio corpo. 39 Non ogni carne è la medesima carne; altra è la carne di uomini e altra quella di animali; altra quella di uccelli e altra quella di pesci. 40 Vi sono corpi celesti e corpi terrestri, ma altro è lo splendore dei corpi celesti, e altro quello dei corpi terrestri. 41 Altro è lo splendore del sole, altro lo splendore della luna e altro lo splendore delle stelle: ogni stella infatti differisce da un'altra nello splendore. 42 Così anche la risurrezione dei morti: si semina corruttibile e risorge incorruttibile; 43 si semina ignobile e risorge glorioso, si semina debole e risorge pieno di forza; 44 si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale.

Se c'è un corpo animale, vi è anche un corpo spirituale, poiché sta scritto che 45 il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l'ultimo Adamo divenne spirito datore di vita. 46 Non vi fu prima il corpo spirituale, ma quello animale, e poi lo spirituale. 47 Il primo uomo tratto dalla terra è di terra, il secondo uomo viene dal cielo. 48 Quale è l'uomo fatto di terra, così sono quelli di terra; ma quale il celeste, così anche i celesti. 49 E come abbiamo portato l'immagine dell'uomo di terra, così porteremo l'immagine dell'uomo celeste. 50 Questo vi dico, o fratelli: la carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio, né ciò che è corruttibile può ereditare l'incorruttibilità.

51 Ecco io vi annunzio un mistero: non tutti, certo, moriremo, ma tutti saremo trasformati, 52 in un istante, in un batter d'occhio, al suono dell'ultima tromba; suonerà infatti la tromba e i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati. 53 È necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta di immortalità.

54 Quando poi questo corpo corruttibile si sarà vestito d'incorruttibilità e questo corpo mortale d'immortalità, si compirà la parola della Scrittura:

La morte è stata ingoiata per la vittoria.

55 Dov'è, o morte, la tua vittoria?

Dov'è, o morte, il tuo pungiglione?

56 Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la legge. 57 Siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo! 58 Perciò, fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili, prodigandovi sempre nell'opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore.



1Corinzi 16

1 Quanto poi alla colletta in favore dei fratelli, fate anche voi come ho ordinato alle Chiese della Galazia. 2 Ogni primo giorno della settimana ciascuno metta da parte ciò che gli è riuscito di risparmiare, perché non si facciano le collette proprio quando verrò io. 3 Quando poi giungerò, manderò con una mia lettera quelli che voi avrete scelto per portare il dono della vostra liberalità a Gerusalemme. 4 E se converrà che vada anch'io, essi partiranno con me.

5 Verrò da voi dopo aver attraversato la Macedonia, poiché la Macedonia intendo solo attraversarla; 6 ma forse mi fermerò da voi o anche passerò l'inverno, perché siate voi a predisporre il necessario per dove andrò. 7 Non voglio vedervi solo di passaggio, ma spero di trascorrere un po' di tempo con voi, se il Signore lo permetterà. 8 Mi fermerò tuttavia a Efeso fino a Pentecoste, 9 perché mi si è aperta una porta grande e propizia, anche se gli avversari sono molti. 10 Quando verrà Timòteo, fate che non si trovi in soggezione presso di voi, giacché anche lui lavora come me per l'opera del Signore. 11 Nessuno dunque gli manchi di riguardo; al contrario, accomiatatelo in pace, perché ritorni presso di me: io lo aspetto con i fratelli. 12 Quanto poi al fratello Apollo, l'ho pregato vivamente di venire da voi con i fratelli, ma non ha voluto assolutamente saperne di partire ora; verrà tuttavia quando gli si presenterà l'occasione.

13 Vigilate, state saldi nella fede, comportatevi da uomini, siate forti. 14 Tutto si faccia tra voi nella carità. 15 Una raccomandazione ancora, o fratelli: conoscete la famiglia di Stefana, che è primizia dell'Acaia; hanno dedicato se stessi a servizio dei fedeli; 16 siate anche voi deferenti verso di loro e verso quanti collaborano e si affaticano con loro. 17 Io mi rallegro della visita di Stefana, di Fortunato e di Acàico, i quali hanno supplito alla vostra assenza; 18 essi hanno allietato il mio spirito e allieteranno anche il vostro. Sappiate apprezzare siffatte persone.

19 Le comunità dell'Asia vi salutano. Vi salutano molto nel Signore Aquila e Prisca, con la comunità che si raduna nella loro casa. 20 Vi salutano i fratelli tutti. Salutatevi a vicenda con il bacio santo.

21 Il saluto è di mia mano, di Paolo. 22 Se qualcuno non ama il Signore sia anàtema. Marana tha: vieni, o Signore! 23 La grazia del Signore Gesù sia con voi. 24 Il mio amore con tutti voi in Cristo Gesù!
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2007-11-21 17:02:54 UTC
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